10 aprile 2024 11:01

Nell’autobiografia di Boy George, Take it like a man, proprio nelle prima pagine c’è un episodio che rivela come fosse percepito Marc Bolan dal pubblico inglese dei primi anni settanta. George O’Dowd fin da ragazzino amava vestirsi in modo stravagante per andare a scuola o in chiesa (la famiglia era cattolica), la madre lo lasciava fare ma ogni tanto la pressione sociale era troppo forte anche per lei. Quando la mamma di un compagno di scuola la chiamò per avvisarla che il figlio “forse era vestito in modo un po’ troppo chiassoso”, lei cercò di comprargli un eskimo verde al posto di quel cappottone di cammello a cui lui univa sempre una sciarpa a fiori. “Marc Bolan se lo metterebbe”, gli diceva quasi supplicandolo. Ma il piccolo George non abboccava: “Sapevo bene che Marc aveva gusti migliori”.

Marc Bolan (1947-1977) è stato la più grande popstar che il Regno Unito abbia avuto nell’intercapedine tra i Beatles e David Bowie. E quest’ultimo è stato per tutta la vita suo amico e rivale. Bolan aveva conosciuto Bowie negli anni sessanta, quando erano entrambi giovanissimi e non erano ancora nessuno. Bolan era il più spavaldo: “Diventerò un cantante e sarò famoso da non poterci credere”, gli disse quando si conobbero. “Be’ allora è probabile che io scriverò un musical per te visto che diventerò un grande scrittore”, pare gli avesse risposto Bowie. A riportare questo dialogo è Tony Visconti, a lungo il produttore di entrambi.

In questo scambio c’è già la differenza fondamentale tra i due: Marc Bolan era pronto a vivere direttamente, con l’anima e con il corpo, il suo sogno di fama. Bowie già capiva che per viverlo fino in fondo aveva bisogno della mediazione della scrittura e del teatro. A volerla guardare in modo messianico Marc Bolan è stato Gesù, morto in un tragico incidente d’auto a 29 anni, lasciando al suo Pietro, Bowie, le fondamenta di una chiesa tutta da costruire.

Marc Bolan è stato il primo ad avere una visione chiara di dove voleva andare ed è stato il primo ad avere successo. Con la sua prima band di rilievo, i Tyrannosaurus Rex, Bolan ha una piccola hit nel 1968: Debora. L’estetica dei primi Tyrannosaurus Rex è hippy, pervasa dalla poesia visionaria e dalla vena fantasy di Bolan e dal pesante uso di lsd e altre droghe del suo compare, Steve Peregrin Took, la vera anima freak e psichedelica del duo. La musica di Bolan col tempo si fa sempre meno folk-hippy e sempre più rock e più elettrica.

Quando nel 1969, alla fine di un disastroso tour americano, Took viene licenziato Bolan esce definitivamente dagli storditi anni sessanta del folk psichedelico per entrare nei fragorosi, massimalisti (e avidi) anni settanta. Il nome del gruppo cambia in T. Rex e, sotto la guida di Tony Visconti, arrivano le hit e quel successo pop di cui lui era così certo. Dallo scontro tra psichedelia, blues elettrico e rock’n’roll classico nasce un nuovo ibrido che di lì a poco sarebbe stato definito glam rock. Quando nel 1970 promuove Ride a white swan (“a cavallo di un cigno bianco”), Bolan è ancora un fricchettone, forse con addosso proprio quell’eskimo che la mamma di Boy George tanto caldeggiava. Solo l’anno dopo, quando uscì la sua seconda hit Hot love, si trasformerà nella creatura androgina e luccicante che avrebbe abbagliato, ipnotizzato e incantato il pubblico pop dei primissimi anni settanta.

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Bob Stanley dei Saint Etienne nel suo libro Yeah yeah yeah - The story of modern pop racconta la nascita del Marc Bolan glam rocker come una origin story da supereroe. Un giorno, all’inizio del 1971, Chelita Secunda, la moglie di Tony Secunda, il manager di Marc, si accorge che il ragazzo è molto carino, ma che va in giro vestito come un hippy straccione. Allora lo porta a fare shopping nelle sue boutique preferite e gli compra boa di struzzo, camicette di Zandra Rhodes e deliziosi gilet ricamati che cadono benissimo sul suo fisico esile e, una volta a casa, lo trucca e gli mette della porporina sulle guance. “Chelita ha trasposto il suo look su Bolan e il glam è partito da lì”, scrive Stanley.

È difficile crederlo oggi ma tra il 1970 e il 1974 Marc Bolan & T. Rex sembrano i nuovi Beatles. Solo nel 1972 Bolan ha due singoli al numero uno in classifica (Telegram Sam e Metal guru) e due al numero due (Solid gold easy action e Children of the revolution) e, proprio come i Beatles, ha un suo film, Born to boogie, prodotto e diretto niente meno che da Ringo Starr. Nel frattempo, mentre Marc intasa le classifiche, le riviste per teenager e Top of The Pops, l’amico-rivale David Bowie si sta trasformando in Ziggy Stardust, un alter ego teatrale che, a differenza del povero Marc Bolan, poteva essere ucciso sul palco per passare al livello successivo. Bolan invece va dritto verso il sacrificio.

Rock ’n’ roll suicide, l’ultima canzone che Bowie registra per l’album Ziggy Stardust and the Spiders from Mars non può non farmi pensare a Marc: “Troppo giovane ma anche troppo vecchio” . Bowie aveva ben chiara, nella sua poetica, l’idea della rock star come meteora e nessuna meteora è stata luminosa come quella dell’amico Marc Bolan.

Una caduta vertiginosa

Nel 1973 Marc Bolan sente che la sua ascesa nell’empireo del pop sta finendo e che sotto di lui, come sulle montagne russe, si sta spalancando una discesa vertiginosa. Il suo singolo 20th Century boy è il primo a fermarsi al numero tre della classifica, lui vede come il suo suono e la sua immagine stiano influenzando tutti ma ha anche la sensazione, nettissima, di essere commercialmente sul ciglio di un precipizio. Ha bisogno di un cambio di direzione, di un’iniezione di novità. E una scarica di energia creativa gli arriva dalla sua nuova compagna, la cantante afroamericana Gloria Jones che nel 1965 era diventata la regina del Northern soul con Tainted love, una canzone che, grazie alla cover synth pop che ne fecero i Soft Cell nel 1981, ha attraversato le generazioni.

Gloria Jones introduce Marc Bolan al funk e al rhythm’n’ blues e gli dà l’idea di aggiungere del gospel al suo glam rock messianico e viscerale. Il disastroso (e splendido) album Zinc Alloy and the hidden riders of tomorrow esce il primo marzo del 1974 ed è il primo vero tonfo di pubblico e di critica per Bolan, che si è gettato a corpo morto nella nuova sfida senza valutarne le conseguenze. “Zinc Alloy è stato l’album che ha fottuto Marc”, scrive il musicista e scrittore Luke Haines nel suo immaginifico e barocco libro Freaks out!, “una pozza di funk gonfio e maleodorante” che i fan teenager di Bolan (ormai sempre più grasso a causa dell’alcol) hanno visto come “un lungo crollo” al rallentatore. Ogni generazione ha il suo martire pop: parlatene con Britney Spears.

Zinc Alloy, ascoltato oggi, è abbagliante, cosmico e allucinato. Non è un ascolto che può essere tenuto in sottofondo: riempie le orecchie e il cervello di suoni, di stimoli e di allucinazioni. È il tentativo disperato di Marc Bolan di uscire dal suo bozzolo di popstar come una farfalla. Ma come nel film La mosca, ne uscirà come un mostro mutilato e patetico.

Venus loon fa partire il disco con un’accelerazione repentina da 0 a 150 all’ora, è come essere su una di quelle attrazioni del luna park che ti sparano in aria come una fionda. È funk ed è rock, ma il ritornello è appiccicosamente pop, quasi bubblegum. Si apre con uno “Yeah!” con l’effetto eco al massimo e i cori di Gloria Jones e Sister Pat Hall sanno di esaltazione mistica da chiesa evangelica. È come se Marc spendesse tutto se stesso in questo primo esilarante pezzo da tre minuti. Arriva alla fine ansimante, i suoi respiri amplificati dall’eco. Marc Bolan negli Stati Uniti aveva sicuramente ascoltato gli O’Jays e i Detroit Emeralds alla radio e Gloria Jones lo aveva introdotto al Philly sound, il soul di Philadelphia. Venus loon e altri brani come Galaxy e Interstellar soul (con il suo incedere vagamente country) ci danno l’idea di che tipo di musica soul cosmica stesse cercando di fare con Zinc Alloy, un album follemente, direi anche disperatamente sperimentale.

L’unico singolo tratto dall’album è Teenage dream (niente a che vedere con l’omonimo album di Katy Perry), una ballata piena di pathos, di archi e di distorsioni sulla fine di un’epoca. O semplicemente su quel piccolo grande dramma che è, per tutti, diventare adulti. La produzione di Tony Visconti è più massiccia che mai. Sembra quasi che lui e Bolan inseguissero una specie di wall of sound alla Phil Spector, con dei maldestri momenti di chitarra alla Jimi Hendrix che mostrano quanto Bolan fosse mal consigliato dalla sua stessa megalomania. Il pezzo si ferma al numero 13 della classifica inglese e negli Stati Uniti non esce neanche.

Explosive mouth è una sorta di blues elettrico e distorto, il brano più sensuale e sessuale del disco. Il piccolo elfo del glam rock è soggiogato da un femminile che diventa ossessione e possessione. In questo brano in particolare, ma anche in Nameless wilderness e in Interstellar soul mi ricorda il Prince dei primi album: un maschio fragile, giovane e inesperto che si rispecchia in un femminile talmente ammaliante e misterioso da volercisi perdere dentro. Bolan sembra dissolvere la sua mascolinità dentro a un femminile morbido e accogliente, ma allo stesso tempo misterioso e pieno d’insidie.

È riflettendo su queste cose che mi rendo conto di quanto Zinc Alloy sia una specie di rock opera intergalattica, con una sua sfuggente, scombiccherata logica interna. Nel suo mix di erotismo, pansessualità, fantascienza e rock ’n’ soul ricorda molto l’estetica del Rocky horror show, il musical di Richard O’Brian che debuttava in teatro proprio in quel periodo. E la canzone finale dell’album, The Leopards featuring Gardenia and the mighty slug, non può non far pensare all’allucinante, malinconico epilogo del Rocky Horror, in cui il castello dello scienziato pazzo e travestito Frank-n-Furter si trasforma in un’astronave per tornare nello spazio profondo.

Zinc Alloy and the hidden riders of tomorrow è un fiasco senza precedenti per Marc Bolan: il pubblico teen lo abbandona e la critica fa ferocemente a pezzi il suo nuovo suono. Mette anche fine alla collaborazione con Tony Visconti, che da lì in avanti decide di dedicarsi di più a David Bowie. E Bowie, che nel frattempo era diventato molto famoso, prende appunti. Anche lui ascolta molta musica soul, funk e rhythm ’n’ blues in quel periodo e anche lui cerca la collaborazione di cantanti e autori afroamericani per la sua nuova direzione post-glam. Solo 18 mesi dopo Zinc Alloy Bowie esce con il “plastic soul” (la definizione è sua) di Young Americans, con i cori di Ava Cherry e di un allora sconosciuto Luther Vandross. Per Bowie è facilissimo cambiare tutto, gli basta uccidere simbolicamente Ziggy Stardust per scivolare, come un serpente che cambia pelle, in un nuovo costume e in un nuovo suono. Mentre Marc Bolan è troppo invischiato nella sua musica e nella sua visione, oltre che in un uso ormai smodato di alcol e droghe.

Il 16 settembre 1977 Marc Bolan muore a Londra in un incidente d’auto. Alla guida c’è Gloria Jones perché lui non aveva mai preso la patente: aveva la sensazione che guidare per lui sarebbe stato troppo pericoloso. David Bowie è molto scosso dalla morte dell’amico e Rolan, il figlio di Bolan e Gloria Jones, ha più tardi rivelato che negli anni ha molto aiutato lui e la madre. Al funerale di Marc Bolan, David Bowie era in lacrime e nel ricordarlo ha detto: “Mi manca enormemente. Era stellare”.

E il terribile, fallimentare Zinc Alloy and the hidden riders of tomorrow stellare lo è ancora.

Marc Bolan & T. Rex
Zinc Alloy and the hidden riders of tomorrow
T. REX / Ariola, 1973

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