Alle tre di ieri pomeriggio, 15 febbraio, l’emiciclo del Parlamento europeo di Strasburgo era semivuoto. Tra i tanti impegni degli eurodeputati presenti per la seduta plenaria che ogni mese li vede confluire nel capoluogo dell’Alsazia, l’intervento del primo ministro italiano non era dei più imprescindibili. Ma in un’aula così grande era comunque un pubblico numeroso e, soprattutto, attento. A più riprese (tredici, assicura chi le ha contate), Monti ha suscitato applausi, più patriottici quando sottolineava l’importanza dell’Italia, “grande paese fondatore dell’Unione e una delle grandi economie dell’eurozona”, più europeisti quando metteva in guardia sulla crisi della zona euro, che “ha fatto nascere troppi risentimenti, creato troppi stereotipi”, mentre, ha ricordato il premier, “non esistono i buoni e i cattivi. Siamo corresponsabili delle cose fatte in passato e della costruzione dell’avvenire”.
Tutti corresponsabili, ma la Grecia un po’ di più, tanto da diventare il termine di paragone negativo dell’eurozona: “L’Italia non è certo la Grecia”, come è stato ripetuto spesso ieri pomeriggio (tre volte, credo). Ai greci potrà sembrare una provocazione, ma Monti ha anche dichiarato che bisogna conciliare integrazione e democrazia, “alla quale non vogliamo certo rinunciare”. ‟It’s impossible”, gli ha lanciato un euroscettico in tono di scherno, provocando un improvviso attacco di anglofonia al premier, che ha ribattuto: “I think it is deeply possible to reconcile them. Only a deeply insular culture might naively consider that integration means a superstate”. “Who elected you?”, l’ha incalzato la voce euroscettica. “La maggioranza dei deputati del parlamento europ- italiano”, si è corretto Monti.
Non è stata l’unica obiezione mossa al presidente del consiglio. Certo, tre capigruppo gli hanno dichiarato pieno sostegno: Joseph Daul del Partito popolare europeo, che ha elogiato la nostra ricetta anticrisi a base di flexicurity, liberalizzazioni e lotta all’evasione; il liberale poliglotta Guy Verhofstadt, che ha esclamato in italiano: “Finalmente abbiamo un vero federalista al Consiglio europeo!”; e Martin Callanan dell’Ecr (Conservatori e riformisti europei), che ha citato i “*Monti *Python” invitando il premier a “always look on the bright side”, nonché a diventare il paladino delle liberalizzazioni.
**Il socialista Hannes Swoboda, ** invece, è stato più cauto. “Abbiamo sentito molte parole, ora vogliamo i fatti”, ha detto, ricordando che “per noi l’Europa sociale è qualcosa di concreto. […] Siamo convinti dell’importanza del dialogo sociale” (anche queste, però, sono solo parole). La copresidente dei Verdi europei Rebecca Harms ha esordito con un poco diplomatico”lei è l’uomo in grado di civilizzare la politica italiana” e ha proseguito con una raffica di domande rimaste senza risposta. Poi, in un crescendo di indignazione, sono intervenuti Patrick Le Hyaric della Sinistra unita europea (“Temo che ancora una volta con questo dibattito si cerchi di camuffare l’assurda e odiosa religione che trascina l’Europa verso il caos: l’austerità”); Francesco Speroni dell’Eld (Europa della libertà e della democrazia), che ha incautamente provocato Monti, ricevendo in cambio una battuta piuttosto perfida; e infine, per i non iscritti, il deputato del Front national Bruno Gollnisch, che, affetto da cospirazionismo, ha attaccato anche Verhofstadt e Swoboda per essersi espressi in inglese, lingua di Big Brother. Peccato faccia parte dei non iscritti, altrimenti avrei suggerito al suo gruppo uno slogan per le elezioni del 2014: “Monolingue e fiero di esserlo!”.
La conferenza stampa seguita all’intervento in plenaria è stata più breve e formale, incrinata solo dalla reazione stizzita di Monti alle domande del corrispondente del Corriere della Sera Ivo Caizzi, colpevole di aver scritto un ritratto poco tenero del premier. Poi Monti si è ritirato per seguire il colloquio telefonico tra i diciassette ministri dell’Eurogruppo. In quello stesso momento stava finendo un altro evento, organizzato dalla Kasparov chess foundation per promuovere il gioco degli scacchi nelle scuole. Due file di tavoli erano state disposte in un punto strategico del parlamento, all’imbocco del ponte che collega i due edifici principali. Chi voleva poteva fermarsi a guardare alcuni bambini mentre giocavano contro Garry Kasparov. Concentrati nonostante il viavai di gente e beatamente ignari della crisi dell’euro.
Francesca Spinelli è giornalista e traduttrice. Vive a Bruxelles e collabora con Internazionale (@ettaspin).
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