17 aprile 2015 13:56

Poco più di tre mesi dopo l’attentato alla redazione del settimanale satirico Charlie Hebdo, in cui sono morte dodici persone, esce Lettera aperta agli imbroglioni dell’islamofobia che fanno il gioco dei razzisti (Les Echappés editore), il libro postumo del suo direttore, Charb. Aveva finito di scriverlo pochi giorni prima di morire e, secondo Le Nouvel Observateur che ne ha pubblicato alcuni estratti in esclusiva, in questo modo Charb voleva far chiarezza una volta per tutte riguardo all’accusa rivolta al settimanale di essere razzista e islamofobo per le sue ripetute provocazioni contro i musulmani.

Due accuse ingiuste e false, si difende Charb, che a sua volta imputa all’ex presidente della repubblica Nicolas Sarkozy di avere in qualche modo sdoganato gli impulsi più beceri dei francesi aprendo il dibattito sull’identità nazionale, nel 2009. Charb accusa anche le organizzazioni islamiche francesi di aver “imposto la nozione di islamofobia al solo scopo di spingere le vittime di atti di razzismo a dichiararsi musulmane”, mentre per i razzisti “questi stranieri o francesi di origine straniera saranno sempre indicati come responsabili di tutti i mali”. Infine, il giornalista rimprovera ai mezzi d’informazione di essere complici del fenomeno, “per pigrizia, attrazione per la novità e interesse commerciale”, annunciando come una profezia che si autoavvera “il furore dei musulmani” per la ripubblicazione delle caricature di Maometto.

Difendendosi dall’accusa di prendersela con l’islam, Charb sostiene che “il problema non sono né il Corano né la Bibbia, ma il fedele che legge il Corano o la Bibbia come si leggono le istruzioni di uno scaffale Ikea: se non le segui alla lettera l’universo crolla”. E rivendica il diritto di fare dell’umorismo sull’islam come su qualunque altra religione: “Affermare che si può ridere di tutto, tranne di alcuni aspetti dell’islam perché i musulmani sono molto più permalosi del resto della popolazione, che cos’è se non una discriminazione?”.

Il libro postumo di Charb “arriva al momento giusto”, scriveva qualche giorno fa la giornalista Nadia Daam su Slate.fr, perché tre mesi dopo la strage di Charlie e al supermercato kosher “i francesi sono passati ad altro” e le prime crepe cominciano ad apparire nella monolitica solidarietà nazionale con le vittime e mobilitazione in sostegno della libertà di espressione.

Prova ne sono lo scarso successo dell’iniziativa Rallumer Répu, i commenti cinici sull’inutilità delle mobilitazioni successive (dopo l’attentato di Tunisi o quello di Garissa) e l’assenza di cambiamenti rilevanti nell’atteggiamento generale dei francesi rispetto ai musulmani. Il vecchio dibattito sui pasti senza maiale nelle mense delle scuole pubbliche si è riacceso dopo che Nicolas Sarkozy, candidato alle primarie della destra per le presidenziali del 2017, si è detto contrario ai pasti differenziati e il presidente del consiglio rappresentativo delle istituzioni ebraiche di Francia, Roger Cukierman, ha dichiarato che, in Francia, “tutte le violenze contro gli ebrei sono commesse da giovani musulmani” e che la leader del partito di estrema destra Front national, Marine Le Pen, è “irreprensibile personalmente”, pur riconoscendo che “dietro di lei, ci sono tutti i negazionisti e i collaborazionisti”.

È probabile che il libro di Charb non sia sufficiente a convincere i suoi critici – o più semplicemente chi non ne condivideva le idee – della buona fede e delle buone intenzioni dell’ex direttore di Charlie Hebdo. I francesi che lo erano non hanno smesso di essere razzisti dall’oggi al domani. La frattura in seno alla società francese è troppo profonda e l’argomento dell’integrazione mancata degli immigrati e dei loro discendenti è un argomento troppo ghiotto per i politici di destra e di estrema destra perché vi rinuncino in nome dello spirito di solidarietà e di unità nazionale che aveva raggiunto l’apice con la gigantesca manifestazione dell’11 gennaio scorso. È davvero probabile che si sia passati ad altro. Ma almeno Charb ha avuto la possibilità di precisare il suo pensiero. Un lusso che i suoi colleghi non hanno avuto.

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