09 novembre 2016 12:55

“In Turchia si stanno via via chiudendo in cella tutte le persone che si permettono di muovere critiche anche minime all’operato del governo”, ha scritto Orhan Pamuk, il premio Nobel per la letteratura turco. “E si procede a questo non tanto in forza del diritto, ma sulla base dell’odio più feroce”.

Pamuk scriveva da Istanbul, ma le sue parole non sono state pubblicate in Turchia. Le ha inviate al principale quotidiano progressista italiano, la Repubblica, perché nessun quotidiano turco avrebbe mai osato pubblicarle. La scorsa settimana quasi tutti i principali redattori del più antico quotidiano turco, Cumhuriyet, sono stati arrestati nel corso del fine settimana con l’accusa di aver sostenuto sia i ribelli curdi sia la società segreta islamica controllata dal predicatore islamico in esilio Fethullah Gülen.

Sarebbe come accusare il Wall Street Journal di sostenere Al Qaeda o il regime di Nicolás Maduro in Venezuela. Cumhuriyet ha sempre difeso la costituzione laica della Turchia da quanti sognavano di creare uno stato islamico (come i “gulenisti”) e ha sempre condannato i separatisti curdi che ricorrevano alla violenza.

Ma ora la sua redazione è in carcere, insieme ad altre 37mila persone che sono state arrestate dopo il tentato colpo di stato dello scorso luglio (il governo del presidente Recep Tayyip Erdoğan ha concesso l’amnistia a 38mila criminali ordinari per fare spazio ai prigionieri politici nelle carceri).

Il governo Erdoğan considera i “gulenisti” responsabili del tentato golpe, probabilmente a ragione. Ma sta sfruttando lo stato d’emergenza (che ha appena esteso per altri tre mesi) per sopprimere tutti i possibili centri d’opposizione al suo potere. Qualunque siano le loro vere opinioni, sono tutti accusati di essere o filoGülen o filoterroristi.

Erdoğan si dimentica di dire che lui e Fethullah Gülen un tempo erano stretti alleati

La minaccia gulenista è stata gonfiata ad arte, raggiungendo proporzioni insensate. Il vice primo ministro di Erdoğan, Nurettin Canikli, ha dichiarato in una recente intervista con la Bbc che i membri del gruppo sono stati “praticamente privati del loro cervello. Sono stati ipnotizzati. Sono come robot. Ognuno di loro è una potenziale minaccia. Potrebbero commettere qualsiasi tipo di attentato, anche suicida”.

“Per quarant’anni questa organizzazione terroristica si è infiltrata negli angoli più remoti del paesi: ministeri, istituzioni di ogni tipo e settore privato. Non solo nella magistratura, nei tribunali, nella polizia e nell’esercito. Anche nell’istruzione. Anzi, è proprio l’istruzione il campo nel quale si sono infiltrati più abilmente”, ha affermato Canikli (metà delle centomila persone che sono state licenziate nella pubblica amministrazione lavoravano nell’istruzione).

Adesso Erdoğan accusa i gulenisti persino di aver abbattuto un caccia militare russo al confine turco-siriano un anno fa, anche se all’epoca aveva fieramente rivendicato l’azione militare. Si dimentica anche di dire che lui e Fethullah Gülen un tempo erano stretti alleati dediti all’islamizzazione dei servizi pubblici turchi.

Il loro obiettivo condiviso era far sì che buona parte dei posti di lavoro del governo – ufficiali militari, insegnanti, polizia, giudici, funzionari pubblici di alto livello – fossero occupati da musulmani praticanti. Si trattava di un compito proibitivo, poiché per quasi un secolo tali impieghi erano stati appannaggio quasi esclusivo di turchi laici che pensavano che la religione dovesse restare fuori dalla politica.

Questo cambiamento è stato ottenuto fornendo ai candidati gulenisti le risposte per gli esami d’ammissione, manipolando le assunzioni nell’esercito e nell’apparato giudiziario, o con il banale esercizio del potere politico. Nel 2016 il loro obiettivo era stato raggiunto.

Ma in seguito Gülen ed Erdoğan hanno avuto un feroce litigio, probabilmente su chi, tra loro due, avesse il controllo delle decine di migliaia di funzionari profondamente religiosi. Erdoğan si è accorto in ritardo di aver creato una forza ostile all’interno del suo stesso apparato governativo.

Scelte pericolose
Di una simile mancanza di lungimiranza Erdoğan ha dato prova anche nei suoi rapporti con curdi di Turchia. In una fase precedente, e più responsabile, della sua carriera politica era riuscito a raggiungere un cessate il fuoco col Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk), il principale e più violento gruppo separatista curdo. Ma quando ha perso le elezioni, lo scorso anno, e ha dovuto recuperare il voto ultranazionalista turco, lo ha fatto rompendo il cessate il fuoco e riavviando la guerra contro i curdi.

Altrettanto folle è stato il suo sostegno clandestino ai fanatici islamisti del gruppo Stato islamico (Is). Alla fine la pressione esercitata nei suoi confronti da parte di Stati Uniti, Russia e Arabia Saudita è stata tale da costringerlo a interrompere le relazioni con i jihadisti. Erdoğan ha così scoperto che i suoi ex amici dell’Is possono diventare molto aggressivi quando si sentono respinti. Oggi le bombe dell’Is esplodono in continuazione in tutta la Turchia.

Insomma, si è inimicato un mucchio di persone, ha un sacco di problemi di cui occuparsi e ha urgente bisogno di ridurre il numero dei suoi nemici. Il fallito colpo di stato di luglio ha dato a Erdoğan una scusa per prendere misure estreme contro di loro e contro altri avversari interni che hanno sempre rispettato le regole democratiche. Ha colto la palla al balzo.

È una cosa triste e brutta da vedere. Per dieci anni la Turchia sembrava in procinto di entrare in un’era di stabilità democratica e crescente prosperità. Questa tragedia non era inevitabile: è stata la spietata ambizione di un uomo a negare a un intero paese un futuro di speranze. E oggi non è chiaro quando – e se – il paese si riprenderà.

(Traduzione di Federico Ferrone)

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