23 novembre 2015 16:42

Questo mese e il prossimo, le lavoratrici europee – a differenza dei lavoratori – non riceveranno il salario. A denunciarlo non è un comitato femminista, ma Věra Jourová, la commissaria europea per la giustizia, i consumatori e la parità di genere. In occasione della Giornata europea della paga equa, indetta ogni anno per il 2 novembre, Jourová ha citato gli ultimi dati pubblicati dalla Commissione europea, da cui emerge che “il compenso orario delle donne europee è in media il 16 per cento più basso di quello degli uomini. In altre parole, le donne europee lavorano gratis per due mesi all’anno”.

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Věra Jourová si si riferisce ai dati della Commissione europea sul “differenziale salariale grezzo di genere” (gender pay gap) cioè la differenza percentuale media tra la retribuzione oraria lorda delle lavoratrici e dei lavoratori dipendenti di un paese. Secondo questo indice, in Italia, le donne in media all’ora guadagnano il 7,3 per cento meno degli uomini: un divario inferiore alla media europea, pari al 16,3 per cento.

Ma come spiega Paola Villa, professoressa di economia applicata all’università di Trento, l’indice usato dalla Commissione europea non prende in considerazione alcuni fattori molto importanti, come il tasso di disoccupazione delle donne molto più alto di quello degli uomini (il 13,9 per cento contro il 12,1 per cento nel 2014), gli anni di esperienza lavorativa e il tipo di occupazione.

Non a caso, circa una lavoratrice su tre in Italia ha un contratto part-time a fronte di un lavoratore su dieci, una situazione che si ripercuote anche sulle pensioni delle donne che risultano più basse di quelle degli uomini. Ed è per questo che la Commissione europea usa anche un altro indice, il Gender overall earnings gap, che tra le sue variabili aggiunge il numero di ore lavorate e il tasso di disoccupazione delle donne. Secondo le ultime stime di questo indice – risalenti al 2010 – l’Italia registra un divario di genere del 44,3 per cento a fronte di una media europea del 41 per cento.

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Ma in entrambi i casi, gli indici statistici usati dalla Commissione europea ignorano le difficoltà delle donne nel coniugare maternità, lavoro e carriera. Per Francesca Koch, presidente della Casa internazionale delle donne, i problemi affrontati dalle donne italiane e non calcolati dagli indici sono molteplici: “Dalle dimissioni in bianco per allontanamento in caso di maternità, alla difficoltà di fare carriera proprio perché penalizzate sul piano della maternità ancora troppo a loro carico a causa della carenza di asili e dell’inadeguatezza dei permessi parentali per gli uomini”.

Infine, come notano le ricercatrici Maria Laura Di Tommaso e Daniela Piazzalunga sulla rivista InGenere, il divario salariale tra donne e uomini in Europa si è ridotto di circa un punto percentuale dal 2008 al 2013, mentre nello stesso periodo in Italia è aumentato dal 4,9 per cento al 7,3 per cento. Questo, ipotizzano le ricercatrici, è in gran parte dovuto al recente blocco degli stipendi nel settore pubblico che ha colpito più le donne degli uomini, visto che il 35 per cento delle donne che lavorano è impiegato nel pubblico, rispetto al 24 per cento degli uomini.

Anche il World economic forum ha pubblicato nuovi dati sul divario di genere nel mondo, nel suo Global gender gap report che classifica ogni anno i paesi prendendo in considerazione i livelli di salute, istruzione e peso in ambito politico-economico delle donne rispetto a quelli degli uomini.

E anche secondo il rapporto del 2015 le cose non vanno benissimo: si calcola che oggi le donne nel mondo in media ricevano un salario pari a quello degli uomini di dieci anni fa. Inoltre, nell’ultimo decennio il divario economico tra donne e uomini nel mondo si è ridotto solo del 3 per cento. Il che significa che se non si cambia ritmo ci vorranno 118 anni per chiuderlo del tutto.

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Secondo il Wef, inoltre, i paesi europei si comportano in maniera diversa tra loro. Ancora una volta si registra una differenza tra quelli del nord e del sud, con la Francia, l’Irlanda e i paesi scandinavi tra i dieci più virtuosi e la Spagna, il Portogallo, l’Italia e la Grecia con divari di genere molto più ampi. L’Italia, in particolare, registra buoni risultati in termini di parità di genere in istruzione, salute e rappresentanza politica, ma va molto peggio sul piano economico.

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Eppure secondo il Wef alcune cose in Italia sembrano migliorare: l’Italia è salita di 28 posizioni dal 2014 al 2015 nella classifica generale della disparità di genere, passando dal 69° al 41° posto (era al 71° nel 2013, all’80° nel 2012, al 74° nel 2011 e nel 2010, al 72° nel 2009, al 67° posto nel 2008, all’84° nel 2007 e al 77° nel 2006). Questo si deve soprattutto al fatto che negli ultimi anni sono aumentate le donne nelle istituzioni politiche e nei consigli di amministrazione delle aziende quotate in borsa. Ma il salto di qualità per l’Italia – e per l’Europa – ci sarà quando, a parità di lavoro, il salario delle donne sarà uguale a quello degli uomini.

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