Vi ricordate il famoso choosy della ministra del lavoro e delle politiche sociali Elsa Fornero? Quella parola, usata durante un convegno dell’Assolombarda a Milano il 22 ottobre, scatenò reazioni indignate e ironiche. Ecco il termine nel suo contesto originale, usato per dare un consiglio ai giovani che cercano di entrare nel mercato del lavoro: “Non bisogna mai essere troppo choosy: meglio prendere la prima offerta e poi vedere da dentro, non aspettare il posto ideale”.

Non era una frase felice per un ministro, in un momento in cui pochi giovani italiani possono illudersi di essere

choosy nella scelta di un lavoro (tranne che nel choosare di lasciare l’Italia). Mi ricorda una frase altrettanto famigerata del ministro del lavoro del primo governo Thatcher, Norman Tebbit, che incitava i giovani a “saltare sulla bici e cercare lavoro” come aveva fatto suo padre negli anni trenta, invece di lanciare sassi e bruciare auto nel centro di Londra.

Però sono convinto che la durezza della reazione contro il choosy di Fornero sia nata anche da un errore di traduzione. Quasi tutti i giornali e le agenzie di stampa hanno tradotto il termine inglese con “schizzinoso”, che il mio fedele Devoto-Oli chiosa come atteggiamento di una persona “a cui nulla va a genio, più per una sofisticata ostentazione di raffinatezza che per un reale senso di repulsione”.

Ma choosy non vuol dire schizzinoso. Ai giornalisti e redattori bastava consultare, che ne so, il dizionario italiano-inglese Concise Oxford Paravia e che, in modo molto più azzeccato, definisce choosy come “difficile da accontentare, esigente”. Il termine “schizzinoso”, con il giudizio che esprime di una persona, è sicuramente peggiorativo. Choosy, invece, è neutro, tendente anche al positivo. Da questo errore di traduzione sono derivate, nei giorni successivi alla diffusione delle parole di Fornero, anche degli errori di collocazione grammaticale di choosy nella blogosfera italiana. Per esempio, la frase “mi sento choosy” registra 2.580 risultati su Google; in inglese, “I feel choosy” dovrebbe averne molti di più. Invece no: solo 127, perché choosy non è una cosa che senti, è una cosa che sei.

Certo, qui si tratta di una traduzione imprecisa più che sbagliata. Se Elsa Fornero voleva dire che i giovani italiani non devono essere troppo esigenti nello scegliere il primo lavoro ci sarebbe comunque da ridire. Si potrebbe per esempio partire dall’osservazione che i datori di lavoro italiani dovrebbero forse essere più choosy nell’applicare criteri di meritocrazia, non di gerarchia, parentela e quant’altro, quando scelgono i canditati.

Ma a volte gli errori (anche piccoli) di traduzione possono avere delle conseguenze molto più gravi. Il caso forse più famoso è quello della parola giapponese mokusatsu. Fu usata dal premier giapponese Kantaro Suzuki nella sua reazione all’ultimatum di resa contenuto nella dichiarazione di Potsdam alla fine della seconda guerra mondiale. Mokusatsu può significare sia “non considerare” (quindi sarebbe una specie di no comment) sia “trattare con disprezzo”. Le agenzie di stampa internazionale scelsero quest’ultima lettura, contribuendo non poco – si dice – alla decisione del presidente Truman di autorizzare l’uso della bomba atomica contro Hiroshima e Nagasaki.

In realtà, l’atteggiamento dei giapponesi era già così lontano dalla resa incondizionata richiesta dalla dichiarazione di Potsdam che probabilmente una traduzione più accurata e sfumata di mokusatsu avrebbe cambiato poco. Non lo sapremo mai. Ma la possibilità, anche lontana, che un errore di traduzione abbia contribuito alla tragedia di Hiroshima ci insegna che, quando si tratta di scegliere la parola o le parole giuste per una traduzione, conviene essere molto, molto choosy.

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