È partito da Napoli con altri venti colleghi. Cinque ore di treno per raggiungere lo stabilimento dell’Ikea di Carugate, la sede milanese della multinazionale dell’arredamento, e partecipare alla manifestazione che si è svolta il 5 dicembre, durante lo sciopero dei lavoratori della più famosa catena di arredamento d’Europa.

Gianluca Vaccaro, rappresentante sindacale dello stabilimento di Napoli parla di un’adesione larga dei lavoratori allo sciopero, indetto per denunciare il peggioramento delle condizioni di lavoro e il mancato rinnovo del contratto, scaduto nel 2019. “Una nostra ora di lavoro vale meno di un tavolino in vendita nei nostri negozi”, spiega.

Quando i primi magazzini dell’Ikea hanno aperto negli anni duemila, gli italiani hanno scoperto lo stile informale, spartano e politicamente corretto degli svedesi. Era possibile per tutti arredare casa con pochi soldi e con un po’ di fai da te ci si poteva permettere armadi scorrevoli, librerie componibili, camerette colorate.

Il tutto accompagnato da un’immagine di sostenibilità e rispetto per l’ambiente eper i lavoratori. Sul sito dell’azienda sono elencati i valori a cui s’ispira: “Attenzione per le persone e per il pianeta, consapevolezza dei costi, semplicità, dare il buon esempio”.

“Ma in più di un ventennio le cose sono molto cambiate”, spiega Vaccaro, che lavora nell’azienda dal 2004. E negli ultime sei o sette anni sono peggiorate. I nuovi assunti hanno contratti con meno garanzie di chi è arrivato vent’anni fa, c’è un grande uso dei contratti part time, con salari mensili intorno ai mille euro, e di contratti a tempo determinato. Così lavoratrici e lavoratori sono più ricattabili, perché quando non servono più restano a casa.

“I più giovani non hanno partecipato allo sciopero per il timore di non veder rinnovati i contratti a tempo determinato. Scioperare è diventato un privilegio, abbiamo scioperato anche per loro”, continua il lavoratore di Napoli, che insieme ai colleghi è entrato con bandiere e striscioni all’interno dello stabilimento di Corugate.

“All’Ikea il diritto è al rovescio”, era scritto su uno degli striscioni del corteo che è sfilato tra divani e camere da letto già addobbati con decorazioni natalizie. “Contratto, contratto”, gridavano i lavoratori all’interno dello stabilimento, chiuso per lo sciopero organizzato dai sindacati di categoria Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs.

L’Ikea ha registrato un calo del 26 per cento degli utili nell’ultimo anno finanziario a causa dell’aumento dei costi dei materiali impiegati nei suoi prodotti, delle tariffe doganali e di uno dei più grandi programmi di riduzione dei prezzi nella storia dell’azienda.

L’Ikea ha fame di alberi
L’enorme domanda di legname per i mobili a basso costo contribuisce ad alimentare l’abbattimento illegale delle più grandi foreste primarie europee.

Ma allo stesso tempo le vendite sono aumentate. Quindi a fare le spese del calo degli utili sono stati soprattutto i lavoratori, che hanno i salari bloccati e che sono minacciati dalla precarizzazione degli ultimi assunti. Nel 2025 non gli è stato riconosciuto nemmeno il premio di produzione. “È stato negato perfino un riconoscimento simbolico, mentre sono previsti dei bonus per i dirigenti”, spiega Vaccaro.

Nell’ultimo incontro con il sindacato l’Ikea ha respinto ogni proposta delle organizzazioni sindacali, rifiutando di definire anche punti già condivisi, come le maggiorazioni domenicali e il trattamento della malattia. “Le nostre professionalità vengono schiacciate e ci sono grandi disparità. I nuovi assunti devono aspettare due anni per avere lo stesso trattamento degli straordinari e le maggiorazioni domenicali dei vecchi assunti”.

I dipendenti dell’Ikea in Italia sono più di 7.500, soprattutto addetti alle vendite, in più di quaranta negozi. L’azienda, che si è imposta con grandi capannoni azzurri nelle periferie delle grandi città più di vent’anni fa, ora sta aprendo negozi più piccoli in centro. “Le persone vogliono negozi vicino a casa. Il modello dei grandi magazzini non funziona più”, conclude Vaccaro.

“Ma nei punti vendita piccoli l’azione dei sindacati è più difficile”, aggiunge Roberto Brambilla della Filcams Cgil. Nove negozi su 17 non hanno preso il premio di produzione annuale. Una cifra che corrisponde di solito a una mensilità e viene data a novembre. “Quel denaro è una boccata d’ossigeno per persone che lavorano dalle venti alle ventiquattro ore alla settimana per uno stipendio di circa mille euro al mese. Se lo aspettavano e non è arrivato. Questo, insieme a una serie di altri peggioramenti, ha portato allo sciopero”, conclude Brambilla.

Ancora peggiore è la situazione dei magazzinieri e dei trasportatori. Questi lavori sono affidati dall’Ikea ad aziende esterne, che a loro volta subappaltano dei segmenti della filiera.

È un meccanismo che danneggia i lavoratori. Per esempio all’Ikea di Milano la consegna dei mobili a domicilio è affidata in appalto a una ditta tedesca, la Rhenus Logistics. A sua volta questa subappalta i trasporti e la gestione dei magazzini di Buccinasco e di Corsico ad altre aziende.

Nel luglio del 2025 le autorità italiane hanno eseguito un sequestro preventivo di 43 milioni di euro alla Rhenus Logistics a causa di un’inchiesta della procura di Milano. L’indagine ipotizza una frode fiscale basata sull’uso di “serbatoi di manodopera” attraverso presunti appalti fittizi e false fatturazioni.

I lavoratori impiegati negli appalti della Rhenus per l’Ikea hanno già scioperato due volte da ottobre, su iniziativa dei sindacati di base come Usb e S.I. Cobas. Negli anni passati sono state organizzate proteste simili dai facchini dei magazzini di Piacenza e di Pisa.

Le organizzazioni sindacali denunciano condizioni di lavoro pesanti, carichi eccessivi, turni fino a dieci ore e sospensioni per chi si rifiuta di sopportare carichi che superano i limiti previsti. Dopo l’ultimo sciopero del 29 novembre, la Rhenus ha sospeso un appalto a una delle tre ditte subappaltatrici e ha aperto un tavolo di trattativa con i sindacati.

“La Rhenus affida a ditte più piccole il trasporto e la consegna a domicilio. Chi lavora per questi fornitori ha spesso contratti che non rispettano gli standard di categoria. Alcune aziende applicano il contratto nazionale per il trasporto e la logistica, altre invece contratti meno garantiti come quello del settore legno e artigianato. Alcuni fornitori non pagano nemmeno le ferie e mettono nella busta paga il tfr per far sembrare più alto il compenso netto”, denuncia Roberto Luzzi, sindacalista del S.I. Cobas, che sta partecipando alle trattative con la Rhenus.

L’inchiesta della procura di Milano accusa l’azienda tedesca di “interposizione di manodopera”, cioè di gestire direttamente i lavoratori, ma di usare le ditte in subappalto per fare dumping, cioè per non rispettare le leggi in materia di sicurezza e diritti dei lavoratori, riducendo i costi di produzione.

Nell’area di Milano gli autisti e i trasportatori legati a questa filiera sono circa duecento, esclusi i magazzinieri. A Buccinasco le aziende in subappalto sarebbero sei. Il sindacato ha fatto diverse richieste alla Rhenus tra cui quella di ridurre i carichi per ogni lavoratore. “Chiediamo il rispetto delle norme di carichi massimi che possono essere portati da un singolo lavoratore e l’uso di carrelli elettrici e saliscale per pesi superiori a cinquanta chili. Al momento questi carrelli non ci sono”, denuncia Luzzi, che sottolinea l’importanza di preservare la salute di lavoratori ad alto rischio.

“Chiediamo che gli straordinari siano volontari e non obbligatori e che siano retribuiti come previsto dal contratto. Ci sono state molte irregolarità nelle buste paga in questi anni”, spiega ancora Luzzi. “L’Ikea si serve di aziende come la Rhenus ma fa finta di non sapere. Mentre la Rhenus sembra volere recepire le nostre richieste. Stiamo trattando per far applicare progressivamente tutte le norme previste del contratto”.

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