Anovembre l’inverno è arrivato a Gaza con una violenta tempesta. Mi sono svegliata di notte in una situazione disastrosa: la nostra tenda era allagata, il “pavimento” si era trasformato in una pozza profonda alcuni centimetri, i materassi e i cuscini erano completamente zuppi, le pentole sommerse, i vestiti fradici, e perfino le valigie – che per noi fanno da “armadi” – si erano riempite d’acqua. All’interno niente era rimasto asciutto. Mentre cercavo di capire cosa stesse succedendo, ho sentito dei bambini piangere fuori della tenda. Ho aperto velocemente e ho trovato tre bambini che vivono nelle tende vicine. Avevano le labbra blu per il freddo. La madre dietro di loro tremava e mi ha detto: “Siamo completamente fradici… la pioggia si è infiltrata all’interno e l’acqua è arrivata dappertutto”.
La stessa tragica scena si ripeteva ovunque intorno a noi: donne, bambini e anziani seduti in strada sotto la pioggia, i giacigli allagati, le loro cose sparpagliate, mentre la confusione e le grida riempivano l’aria. Quel giorno tutti gli 1,4 milioni di palestinesi sfollati che non avevano un riparo adeguato hanno sofferto. Erano persone senza protezione contro le intemperie o le tempeste improvvise.
Ci sono voluti due giorni interi per far asciugare le nostre cose, perché il sole compariva a malapena; tutto rimaneva freddo e umido. Non ci siamo trasferiti in un altro posto, siamo rimasti dove eravamo, cercando di salvare tutto quello che potevamo, perché semplicemente non c’era nessun altro luogo dove andare.
Solo una settimana dopo una tempesta invernale ancora più forte è arrivata portando con sé piogge molto intense. Le tende si sono allagate; i bambini piccoli si sono gelati sotto la pioggia.
Pazienti e stremati
Quando ci ha colpito la tempesta Byron il 10 dicembre, siamo stati di nuovo inondati dall’acqua. Nonostante tutti i nostri tentativi per rinforzare le tende, fissarle saldamente e aggiungere teloni più resistenti, niente ha funzionato. I venti e la pioggia sono stati più intensi, e l’acqua si è infiltrata da ogni parte. Il terreno non l’assorbiva più. Il livello dell’acqua è cominciato a salire rapidamente sotto i nostri piedi, trasformando tutta la zona in una palude.
Secondo le autorità, i forti venti hanno distrutto almeno 27mila tende. Si tratta di 27mila famiglie che già erano in difficoltà e che adesso non hanno nulla, nessun posto per proteggersi dalla pioggia e dal freddo. La pioggia ha anche abbattuto le case danneggiate in cui alcuni avevano trovato riparo. Ogni volta che c’è una tempesta o venti forti sentiamo il rumore di detriti o pilastri che si staccano dagli edifici in rovina nelle vicinanze. Questa volta la situazione era così seria che tredici persone sono rimaste uccise nel crollo di alcuni palazzi.
È chiaro che dopo tutto quello che abbiamo sopportato, noi – come gli altri palestinesi sfollati – non possiamo sopravvivere a un terzo inverno in queste condizioni durissime. Abbiamo superato due inverni vivendo in tende che non ci proteggevano né dal freddo né dalla pioggia, aspettando pazienti e stremati un cessate il fuoco che avrebbe messo fine alle nostre sofferenze. Il cessate il fuoco alla fine è arrivato, ma non il sollievo: siamo sempre nello stesso posto, con i corpi provati dalla malnutrizione e dalle malattie, sotto tende logorate dal sole e dal vento.
Un po’ di tepore
La nostra famiglia di sette persone vive in una tenda di quattro metri per quattro. Ci sono due bambini di cinque e dieci anni e nostra nonna, di ottant’anni. Noi adulti possiamo affrontare il freddo e le difficoltà, ma gli anziani e i bambini come possono sopportare quello che viviamo ogni giorno? Dormiamo su materassi appoggiati a terra, dove il freddo si insinua da sotto e da sopra, con poche coperte che non riescono a proteggerci dalle notti gelide. Nella tenda ognuno ha due coperte, bastano appena a trattenere il calore per qualche ora. Non ci sono fonti di riscaldamento – niente elettricità né una stufa – solo corpi stremati che cercano di condividere quel poco di tepore.
◆ Per più di una settimana le autorità e i mezzi d’informazione israeliani hanno istruito i cittadini sulle precauzioni da prendere contro la tempesta Byron. “Così una società che funziona si prepara per il maltempo”, scrive Lubna Masarwa, giornalista di Middle East Eye che vive a Gerusalemme. “La tempesta è stata una sfida, ma è gestibile per chi ha una casa, una rete fognaria e servizi pubblici efficienti. Ma sotto lo stesso cielo, nella Striscia di Gaza assediata, le previsioni erano una condanna a morte”. A peggiorare le cose, Israele continua a bloccare gli aiuti umanitari: “Più di 6.500 camion sono in attesa ai valichi per entrare a Gaza con forniture essenziali per l’inverno, tra cui tende, coperte, indumenti pesanti e prodotti per l’igiene. Mentre aspettano, i bambini vanno in giro a piedi nudi e indossano abiti estivi nonostante il freddo gelido”. Alla fine di settembre, le autorità di Gaza hanno stimato che il 93 per cento delle tende (circa 125mila su 135mila) non era più idoneo a essere abitato.
◆ Il 13 dicembre 2025 l’esercito israeliano ha fatto sapere di avere ucciso il comandante di Hamas Raed Saad in un raid contro un’auto nella città di Gaza, che ha provocato altri tre morti e almeno 25 feriti. Il giorno dopo Hamas ha confermato la notizia.
Mia nonna non riesce a tollerare il freddo. La guardo tremare tutta la notte, con le mani sul petto come se cercasse di non lasciarsi andare. Non possiamo fare altro che metterle addosso tutte le coperte che abbiamo e guardarla con preoccupazione finché non riesce ad addormentarsi.
Molte persone a Gaza vivono in condizioni decisamente peggiori delle nostre. La maggior parte delle famiglie che vorrebbe solo una tenda sopra la testa non se la può permettere, perché può costare fino a mille dollari; l’affitto per piantare la tenda su un pezzo di terra arriva anche a 500 dollari. Chi non riesce a pagare vive in strada in ripari improvvisati. La strada Salah al Din, per esempio, ne è piena: quasi sempre si tratta semplicemente di coperte appese e avvolte intorno a un piccolo spazio per creare un minimo di intimità, senza offrire nessuno schermo dalla pioggia o dal freddo. A ogni raffica di vento si aprono completamente.
Ci sono bambini che vivono per strada, dormono sul terreno nudo e freddo. Molti di loro hanno perso il padre o la madre durante la guerra. Quando gli passi accanto li vedi a volte silenziosi, a volte in lacrime, altre volte in cerca di qualcosa da mangiare.
Nonostante le ripetute promesse di aiuti e ricostruzione, il flusso ridottissimo di forniture entrate finora a Gaza non ha cambiato nulla. All’inizio di dicembre le Nazioni Unite avevano dichiarato di essere riuscite a distribuire solo trecento tende il mese precedente; 230mila famiglie avevano ricevuto un unico pacco alimentare ciascuna. Noi non lo avevamo preso, c’erano troppe persone bisognose e le quantità erano troppo esigue per raggiungere tutti. Anche se lo avessimo preso, il suo contenuto ci sarebbe bastato per non più di una settimana o due.
I prezzi del cibo continuano a essere alti. I prodotti più nutrienti come carne e uova sono introvabili o troppo costosi. La maggior parte delle famiglie non mangia un pasto proteico da mesi.
A causa della carenza di macchinari, non sono in corso operazioni massicce per rimuovere le macerie o spianare il terreno e permettere così alle persone di piantare le proprie tende. Non sono state avviate misure per fornire alloggi alle famiglie.
Questo significa che abbiamo di fronte a noi un orizzonte terrificante: la vita in una tenda – che può sempre allagarsi o essere strappata dal vento – minaccia di diventare la nostra realtà sul lungo periodo. È un pensiero insopportabile.
Agire subito
Durante i bombardamenti vivevamo con la paura costante della morte e forse l’intensità della guerra faceva passare in secondo piano tutto il resto: il freddo, la pioggia, le tende che si agitavano sopra le nostre teste. Ma oggi che i massicci bombardamenti si sono fermati, ci troviamo di fronte tutto l’orrore della “nuova normalità” di Gaza.
Temo che questo inverno sarà molto peggiore per la Striscia. Senza riscaldamento, senza veri ripari, con il meteo che peggiora di giorno in giorno, probabilmente vedremo morire molti bambini, anziani e malati cronici. Già si ha notizia dei primi morti per ipotermia: due neonati, Rahaf Abu Jazar e Taim al Khawaja, e Hadil al Masri, di nove anni (il 16 dicembre è morto anche Mohammed Khalil Abu al Khair, di due settimane). Se il mondo vuole davvero mettere fine al genocidio a Gaza deve agire subito e fare in modo che ci siano almeno le condizioni minime per la sopravvivenza: cibo, alloggi e cure mediche. ◆ fdl
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Questo articolo è uscito sul numero 1645 di Internazionale, a pagina 32. Compra questo numero | Abbonati