23 novembre 2006 16:02

Due settimane fa vi ho chiesto di spiegarmi quali sono, secondo voi, gli aspetti più difficili della scrittura. È successo il finimondo. “Troppi per elencarli tutti,” mi ha scritto Jan H. “Amo tantissimo scrivere ma non riesco mai a rileggere qualcosa di mio senza trovarlo irrimediabilmente sciatto, banale e moscio”.

Julie ha un problema con i finali: “Il lieto fine è così grossolano! C’è un’alternativa soddisfacente per il lettore che non sia quella di far finire sempre tutto a tarallucci e vino?”.

Come mostrare senza dire, come costruire sequenze d’azioni importanti o snodi centrali e quale punto di vista scegliere per raccontare una storia? Avete toccato molte questioni interessanti e mi ha colpito vedere quanti di voi si sono scambiati dei pareri online.

Nelle settimane che ci restano cercheremo di affrontare tutti questi argomenti e altri ancora. Molti vorrebbero sapere quali sono stati i punti considerati più difficili, ma non vi rovinerò la sorpresa: dovrete leggere fino all’ultima riga di questa rubrica per scoprire il problema numero uno e quello che, invece, vi spaventa di meno.

Intanto vi sorprenderà sapere che il secondo classificato è il dialogo. Potrebbe sembrare strano che degli scrittori trovino difficili i dialoghi. La vita di tutti i giorni è piena di dialoghi! Ma non illudetevi che sia possibile trasferirli sulla pagina come per osmosi, grazie a una semplice imitazione. Anche se, ovviamente, l’imitazione conta.

Una volta ho intervistato il drammaturgo David Edgar. Eravamo entrambi d’accordo sul fatto che si possono insegnare molti aspetti della scrittura, in particolare la struttura drammatica o come mettere in scena quello che il pubblico si aspetta.

Ma Edgar era convinto che ci fosse una qualità innata: la stoffa per i dialoghi, l’orecchio per i dettagli e le caratteristiche del parlato.

Il dialogo all’interno di un romanzo è diverso da quello di un testo teatrale, in cui deve sopportare tutto il peso dell’opera. Quando scrivi un dialogo in prosa hai di fronte tutte le alternative possibili. Puoi interromperlo con azioni, descrizioni, pensieri dei personaggi. Puoi aggiungere un verbo descrittivo o un avverbio per esprimere il modo in cui quella determinata frase è pronunciata (ma è meglio non esagerare).

Se non avete ancora scritto molti dialoghi, un esercizio utile è quello di andare al bar o in un altro luogo aperto al pubblico portandovi dietro un piccolo registratore. Sedetevi accanto a due o più persone che stanno chiacchierando e registrate giusto un paio di minuti di conversazione.

Mi raccomando, siate discreti: non voglio venire a sapere che c’è stato un arresto a causa della mia rubrica.

Tornati a casa, trascrivete con precisione i due minuti di chiacchiere, comprese le ripetizioni, le pause, i colpi di tosse e i balbettii. Vi accorgerete subito che un vero dialogo non è composto quasi mai di frasi complete e che spesso rispetta pochissimo la grammatica (anche se il senso è chiaro lo stesso). Le persone cambiano argomento in mezzo a una frase o lasciano i pensieri a metà. S’interrompono a vicenda o da sole.

Immaginate di essere caduti dalle scale stamattina e di raccontarlo a un collega davanti a una tazza di caffè. Poi immaginate di descrivere lo stesso identico episodio a una vecchia zia: il lessico sarà completamente diverso.

E segnatevi anche questo: basta un discorso per svelare moltissimo di una persona.

Quindi, i dialoghi di un romanzo possono comunicare tantissimi particolari sui personaggi che stanno parlando senza che voi, l’autore, diate indizi concreti.

Ed eccovi il prossimo esercizio: scrivere sei righe di dialogo, non di più. Due persone parlano, tre righe a testa. Stanno discutendo sulla ristrutturazione della biblioteca civica.

Voglio che con questa discussione facciate capire, in un modo o nell’altro, che questi due si detestano.

Poi speditemi le sei righe che avrete scritto e cominciate a pensare a come inserire nel vostro romanzo un passaggio che esprima i sentimenti dei protagonisti usando solo il dialogo.

E il vostro problema numero uno? La difficoltà insormontabile del mestiere di scrittore? Be’, vi darò un indizio: inizia con “tra” e finisce con “ma”. Nella prossima puntata scaleremo la montagna.

Internazionale, numero 669, 23 novembre 2006

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