12 gennaio 2018 10:27

“In uno stato costituzionale il vero sovrano è l’elettore”, diceva un tempo Ferdinand Lassalle, leader operaio e precursore della socialdemocrazia europea. Tuttavia a distanza di 150 anni proprio l’elettore ha chiaramente perso fiducia nell’idea politica di Lassalle.

In quasi tutta Europa i partiti socialdemocratici e socialisti lamentano una perdita di consenso. In Germania alle elezioni parlamentari del 2017 il Partito socialdemocratico (Spd) ha incassato un risultato storicamente negativo. I partiti fratelli di Francia, Paesi Bassi e Repubblica Ceca hanno perfino ottenuto risultati a una cifra sola.

La socialdemocrazia europea lotta per la sopravvivenza politica. Dall’inizio del nuovo millennio ha perso consensi alle elezioni in 15 dei 17 paesi esaminati, e talvolta in maniera clamorosa.

Risultati catastrofici
In Germania il risultato conseguito dall’Spd alle elezioni federali del 2017 (il 20,5 per cento) è stato il peggiore dalla fine della seconda guerra mondiale. Eppure intorno al volgere del millennio il partito era ancora la forza politica dominante. Nel 1998 i socialdemocratici guidati da Gerhard Schröder avevano ottenuto più del 40 per cento dei voti e il 38,5 per cento nel 2002, riconfermando il cancelliere. Ma da allora il partito è alla deriva. Soprattutto all’indomani della nascita della grande coalizione (dal 2005), gli elettori hanno punito la sinistra, come dimostra il consenso crollato di oltre dieci punti percentuali. Dopo una timida ripresa nel 2013, l’andamento negativo è continuato.

In Francia lo scorso anno il Partito socialista (Ps) è sprofondato nella sua crisi peggiore. Il presidente François Hollande, ovvero la figura politica più impopolare della storia, ha addirittura rinunciato alla ricandidatura. L’outsider Benoît Hamon è arrivato quinto con appena il 6 per cento dei voti. Di lì a poche settimane si sono svolte le elezioni per l’assemblea nazionale. Se nel 2012 il Ps era la principale forza politica, con la perdita di 20 punti percentuali è ora sprofondato sotto il 7 per cento.

Anche nei Paesi Bassi e in Repubblica Ceca i partiti socialdemocratici hanno ottenuto solo risultati a una cifra alle elezioni parlamentari dello scorso anno e, rispetto alle consultazioni precedenti, hanno perso rispettivamente 19 e 13 punti percentuali.

In Grecia il declino è cominciato già diversi anni fa. Dopo l’inizio della crisi del debito sovrano, il Movimento socialista panellenico (Pasok), che era al governo, ha subìto una sconfitta clamorosa perdendo la maggioranza assoluta in parlamento. Alle elezioni del 2012 ha perso più di 30 punti percentuali, nel 2015 è sprofondato ulteriormente e il Pasok oggi non ha quasi più voce in capitolo.

In Austria alle ultime elezioni il Partito socialdemocratico (SpÖ) ha in parte riconfermato il risultato di quattro anni fa, tuttavia non è più al governo e negli ultimi 15 anni ha perso quasi dieci punti percentuali.

In Italia, in Spagna e in Portogallo nel primo decennio del nuovo millennio i partiti socialdemocratici hanno ancora ottenuto risultati elettorali superiori al 40 per cento. Tuttavia tali cifre sono un lontano ricordo: il Partito socialista spagnolo (Psoe) ha ultimamente ottenuto poco più del 22 per cento dei consensi.

Anche in Svezia e in Finlandia i risultati elettorali incassati dai socialdemocratici sono diminuiti in maniera costante negli anni a cavallo tra un millennio e l’altro.

La forza lavoro è frammentata e gli ambienti che hanno appoggiato i socialdemocratici per decenni si sono dissolti

Dopo il tracollo subìto all’inizio del millennio, in Norvegia il Partito laburista (Ap) si era ripreso. Nel 2001, dopo più di 40 anni al potere, l’Ap aveva perso oltre dieci punti percentuali ottenendo il 24,3 per cento dei consensi, passando di nuovo all’opposizione. Grazie a uno spostamento a sinistra, l’Ap era comunque riuscito a compensare le perdite. Dalle elezioni del 2009 il partito è di nuovo in affanno e nel 2017 si è attestato al 27,4 per cento. Benché rimanga il partito più forte, il paese è governato da una coalizione di conservatori.

Nel Regno Unito infine il Partito laburista ha seguito fino a poco tempo fa la tendenza negativa generale, registrando tra il 2001 e il 2015 una perdita di dieci punti percentuali. Tuttavia, in occasione delle elezioni politiche anticipate dello scorso anno, i laburisti hanno risalito la china, traendo chiaramente vantaggio dalle conseguenze del voto a favore della Brexit dell’anno precedente.

Lo scenario sociale è cambiato
Naturalmente in ogni paese ci sono ragioni diverse e di carattere individuale che spiegano tali sviluppi. Esistono però anche fattori che spiegano la crisi sia dei socialisti sia dei socialdemocratici in molti paesi. Innanzitutto i partiti hanno perso molti elettori fedeli.

Sorta dal movimento dei lavoratori del diciannovesimo secolo, alle urne la socialdemocrazia europea poteva contare su un nucleo saldo di sostenitori: gli operai e, soprattutto, le persone impegnate in lavori fisici. Lo scenario oggigiorno è cambiato drasticamente, la forza lavoro è frammentata e gli ambienti che hanno appoggiato per decenni i socialdemocratici in tutta Europa si sono dissolti.

A causa delle nuove tecnologie, gli impieghi nel settore industriale diventano superflui, oppure sono dirottati verso paesi con livelli salariali più bassi. Alla forza lavoro permanente retribuita con salari elevati si contrappongono i lavoratori interinali che spesso svolgono le stesse mansioni con salari inferiori. In Germania, negli ultimi cinquant’anni la percentuale di lavoratori tradizionali è diminuita, passando dalla metà a meno di un quarto della popolazione attiva. I sondaggi evidenziano che i lavoratori rimanenti non scelgono più solo i socialdemocratici.

In secondo luogo, nell’ultimo decennio o ventennio sono emersi partiti estremisti che hanno ottenuto consenso. I partiti socialisti e populisti di sinistra sono riusciti a convincere gli elettori che alle precedenti consultazioni avevano scelto i socialdemocratici. È successo grossomodo con Syriza in Grecia, ai partiti di sinistra in Portogallo e Danimarca o in Germania alla Linke, nata dalla fusione tra il Partito del socialismo democratico (Pds) della Germania dell’Est e il movimento Lavoro e giustizia sociale-Alternativa elettorale (Wsg) della Germania Ovest.

Al contempo, anche i partiti populisti di destra si rivolgono alla restante classe lavoratrice tradizionale. È il caso del Front national in Francia, del Partito della libertà austriaco (Fpö), del Partito per la libertà di Geert Wilders nei Paesi Bassi e di Alternative für Deutschland in Germania.

Il banco di prova italiano
In terzo luogo, la crisi di fondo dei partiti tradizionali è tutt’altro che una novità. La partecipazione al voto scende e, in generale, la fiducia nella politica diminuisce. In Europa molti paesi devono vedersela con il problema del calo di affluenza alle urne. In Germania negli anni settanta alle urne si recava circa il 90 per cento degli aventi diritto. Nel nuovo millennio la percentuale di votanti oscilla tra il 70 e l’80 per cento. In Francia la partecipazione al secondo turno delle elezioni parlamentari dello scorso anno si è attestata ai minimi storici. Anche in Grecia il grado di insoddisfazione verso la politica è grande.

Quale futuro si profila per la socialdemocrazia europea? Come intende affrontare le sfide di un mondo globalizzato e digitalizzato? E potrà riconquistare la fiducia degli elettori?

Le prossime elezioni parlamentari in un paese dell’Unione si svolgeranno a marzo in Italia. Matteo Renzi, segretario del Partito democratico ormai diviso, vorrebbe riportare il suo partito al governo. Lo stesso Renzi vede per sé un ruolo simile a quello del capo di stato francese Emmanuel Macron, che si era presentato come l’innovatore della scena politica. Ma alcuni sondaggi danno in testa il movimento antieuropeo dei cinquestelle e l’alleanza di destra di Silvio Berlusconi. Al momento all’orizzonte non si profila un grande ritorno della socialdemocrazia.

(Traduzione di Grazia Ventrelli)

In collaborazione con lo European Data Journalism Network.

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