01 settembre 2018 09:53

Ci dicono che è un punto di non ritorno, che le cose stanno così: che bisogna pensare a quali e a come, perché presto cominceremo a mangiare insetti. La fornitura di proteine animali è già un problema e lo sarà sempre di più in futuro. La produzione di carni di mammiferi è la forma più brutale di concentrazione della ricchezza alimentare: servono dieci chili di cereali (che potrebbero saziare dieci famiglie) per far produrre a una vacca un chilo di carne, che alimenterà una sola famiglia. Per millenni il consumo di carne è stato possibile perché in pochi la consumavano: adesso che sempre più persone possono permettersela, il mondo sta sprecando risorse che non possiede, un terzo dei suoi terreni produttivi, per produrla.

Questo meccanismo non può durare, il pianeta non basta. E quindi, in attesa della carne prodotta in laboratorio tramite la clonazione di cellule, sembra che saranno gli insetti a fornire queste proteine. Bisogna cominciare ad abituarsi, dicono, e molte persone cominciano a digrignare i denti. Non dovrebbe essere così, però ancora fatichiamo ad accettare l’idea. Quattro anni fa tre olandesi, capitanati dall’antropologo Arnold van Hius – grande sostenitore della dieta a base d’insetti – pubblicarono The insect cookbook: food for a sustainable planet (Il libro delle ricette a base d’insetti: cibo per un pianeta sostenibile). Uscirono diversi articoli, ci furono incontri tra esperti e molti annunciarono la buona notizia. Però chi di voi ha mangiato un insetto ultimamente?

In realtà la parola “insetti” trae in inganno: non diciamo mai che mangiamo mammiferi, ma manzo (alcuni), maiale (altri), pecora (quasi tutti), cane (quasi nessuno), cavallo (sempre meno) però non mangiamo elefante, canguro, topi e persone, in teoria. Invece l’idea di “mangiare insetti” fa pensare tanto alla cavalletta quanto allo scarafaggio o alla vespa, e poi è ripugnante.

Si dirà che mangiare o non mangiare certi animali è una questione di prospettiva. Ma non mangiamo ciò che ci è caro e vicino e di cui ci preoccupiamo se ci sta lontano. Mangiamo quel che abbiamo, che è disponibile, ma con il quale non abbiamo un rapporto, che è iscritto in una tradizione, che è noto: questi mammiferi, tre o quattro uccelli. Un insetto, invece, è avvolto nell’oscurità, negli angoli nascosti, provoca inquietudine. Un insetto suona sporco o minaccioso: contamina o ferisce. Un insetto, di solito, fa schifo, e ora dobbiamo accettare il fatto che ci conviene mangiarlo.

Tutto sta nel cambiare l’immagine delle cose, renderle cool, appetibili. Però gli insetti non hanno una lobby industriale, ma solo alcune ong e accademici benintenzionati, degli chef fantasiosi e degli startupper entusiasti. Che si scontreranno con la strenua resistenza dei potenti produttori di carne di mammifero, disposti a tutto, come sempre, per mantenere affari e privilegi.

Sarà una battaglia epica tra le nostre paure più ataviche e le nostre necessità più attuali

Si avvicina una battaglia culturale straordinaria. I produttori di carne useranno tutte le armi. Non mi stupirebbe, per esempio, se cominciassero a diffondersi sofisticate tesi sui danni causati al duodeno dal consumo di Alphitobius diaperinus – o tenebrione. O se Hollywood comincerà a produrre film orribili dove enormi insetti invadono e distruggono. O se alcuni giornalisti, di quel genere che non manca mai, cominceranno a raccontare con ogni tipo di mezzi e dettagli le terribili epidemie causate dalle api allevate per scopi alimentari nel Borneo. Va bene tutto pur di alimentare lo schifo, la paura, i pregiudizi.

Sarà, in fin dei conti, una battaglia epica tra le nostre paure più ataviche e le nostre necessità più attuali: uno scontro che sarà bello osservare seduti, mangiando pop-corn. O, ancora meglio, al quale prendere parte: sarà una lotta tra quanti vogliono il bene di pochi e quanti vogliono che molte più persone abbiano qualcosina in più. Così, quando si comincerà a combattere per superare il senso di schifo sarà un’altra battaglia nella grande guerra contro la fame.

Questo articolo è uscito su El País Semanal con il titolo La guerra contra el asco. Traduzione di Federico Ferrone.

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