11 novembre 2015 16:28

Tra le prime frasi che un bambino messinese impara ad articolare ce ne sono due che riguardano l’acqua: una sulla sua abbondanza tentatrice e l’altra, all’opposto, sulla sua sofferta penuria. La prima è la domanda “Mi posso fare il bagno?”, lo sguardo bramoso verso la lunga striscia dello Stretto e nel cuore la speranza che il genitore dichiari concluse le infernali tre ore di digestione. La seconda la si pronuncia scappando via dalla doccia, insaponati e asciutti, oppure agitando le mani sotto il rubinetto a secco, ed è l’amara constatazione: “Si sono tolti l’acqua un’altra volta”.

Già, perché a Messina l’acqua se la tolgono: la forma dialettale non è usata a caso, si ha la percezione impotente di un bene rubato e tenuto nascosto chissà dove e per quali motivi. Nei pomeriggi d’agosto bisogna far presto a tornare dalla spiaggia per lavarsi, perché nelle torride estati insulari la normalità è avere acqua corrente fino all’ora di pranzo, al massimo fino al crepuscolo, poi peggio per chi non ha un serbatoio in casa.

E mentre l’acqua per uso quotidiano è insufficiente, altra acqua erode ogni cosa trascinandola nella rovina. Nel 1908 l’apocalittico terremoto di Messina fu aggravato da un maremoto e da una frana sottomarina; un secolo dopo, nel 2009, un’alluvione mortale ha distrutto il quartiere di Giampilieri e il comune di Scaletta Zanclea. La parola acqua, nella mia città, ha diversi sinonimi: catastrofe, incubo, disastro, morte. Più uno all’ordine del giorno: disagio.

Già nel 1968 Leonardo Sciascia parlava dell’ennesimo stanziamento per inutili opere idriche

Quando ho aperto twitter e ho visto #Messinasenzacqua fra i trending topic, gli argomenti più discussi, ho sorriso con stizza. Perché il problema non nasce oggi e, se lo si risolve con un semplice rattoppo, Messina che era senz’acqua ieri sarà senz’acqua domani. L’acqua sparita dalle prime pagine tornerà a essere uno degli atavici problemi dell’isola, di cui lamentarsi passivamente allargando le braccia: la siccità, il traffico, l’Etna, le tre piaghe della Sicilia secondo il famoso discorso dell’avvocato-zio in macchina per le vie di Palermo nel film Johnny Stecchino.

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Tutto ciò che riguarda l’acqua, sull’isola, ha a che fare più con interessi e diatribe degli uomini che con la natura. Nel 1968 lo raccontò il documentario La grande sete di Massimo Mida, sceneggiato da Marcello Cimino. Il testo che accompagnava il video era di Leonardo Sciascia, che con amara ironia commentava l’ennesimo stanziamento miliardario per grandi, vacue opere idriche con una data all’epoca orwelliana: “Nell’anno 2015 il problema dell’acqua sarà completamente e definitivamente risolto”.

Le acque cristalline dell’Alcantara

Il 2015 è arrivato, i fondi per l’acqua persi chissà dove, e l’opera più annunciata, vacua e pomposa del governo nazionale è il ponte sullo Stretto. Intanto, da settimane, Messina vive un’emergenza idrica: scuole e uffici chiusi a singhiozzo, l’esercito sbarcato in città (come negli anni dopo le stragi di Capaci e via d’Amelio) e adesso anche un commissariamento.

L’allarme è scattato il 24 ottobre, quando una frana all’altezza di Calatabiano, in provincia di Catania, ha danneggiato l’acquedotto di Fiumefreddo, la principale fonte di approvvigionamento di Messina, con circa mille litri al secondo. L’erogazione è stata interrotta e i messinesi invitati alla parsimonia. Restava in funzione l’acquedotto civico, meglio conosciuto come “la Santissima”, il cui apporto però è molto limitato, soddisfa solo il venti per cento del bisogno. L’utilizzo sistematico del terzo acquedotto, quello dell’Alcantara, fiume dalle leggendarie acque cristalline, da anni è invocato come migliore soluzione alla penuria e ai guasti: fu realizzato dal comune con i fondi della Cassa del Mezzogiorno, la gestione passò da un ente all’altro, infine non ci si accordò su nulla, nemmeno sulle tariffe. Il ritorno all’approvvigionamento dall’Alcantara, o quantomeno l’utilizzo del doppio canale accanto a quello di Fiumefreddo, costituiscono secondo molti le uniche strade per ripristinare una situazione di quasi normalità.

Ogni mattina i baristi si scusano di servire caffè, cappuccino e granita nei bicchieri di plastica

Messina è edificata in buona parte su torrenti insabbiati, come si evince ancora dal nome di alcuni viali: Torrente Giostra,Torrente Trapani, Torrente Boccetta… Camminare per quelle vie dove un tempo scorreva l’acqua, oggi rettilinei di asfalto popolati da case dai rubinetti prosciugati, è solo una delle tante contraddizioni che da tempo noi messinesi abbiamo accettato di vivere. Proprio a proposito di torrenti, secondo i dati del genio civile, ghiaia e sabbia nei corsi d’acqua sottoposti a pianificazioni idriche inadeguate avrebbero causato dislivelli, dissesti e frane.

Intanto, la protezione civile definisce l’acquedotto di Fiumefreddo “obsoleto”. Il sindaco di Catalabiano, Giuseppe Intelisano, minimizza le responsabilità idrogeologiche della provincia catanese accusando l’Amam, l’azienda idrica messinese, di non aver mai fatto manutenzione. Renato Accorinti, sindaco di Messina, denuncia invece il rallentamento dei lavori di ripristino, ostacolati dalla chiusura della zona da parte di Intelisano. Per non parlare dello scambio di accuse fra Accorinti e il presidente della regione siciliana Rosario Crocetta, fra cui la comunicazione è sempre complicata.

In fila davanti ai pozzi

Intanto nuove frane vicino Calatabiano (nella stessa zona se n’erano verificate già nel 2010 e nel 2012, causando uguali disagi pur se di minore durata e con meno clamore) provocano continue interruzioni. Ogni giorno è una scommessa, ciascuno si organizza come può. Molti messinesi hanno in casa un serbatoio privato, comunemente chiamato “autoclave”, la chiusura ermetica che fa da sineddoche per l’intero prezioso oggetto. Stavolta però anche per le famiglie un po’ più fortunate, abituate ad arrangiarsi con l’acqua risparmiata, il quantitativo è troppo esiguo: ci sono anche loro in fila davanti ai pozzi pubblici e alle autobotti, con bidoni e contenitori.

Su twitter, con l’hashtag #Messinasenzacqua, i cittadini fanno girare pragmatiche e solidali comunicazioni di servizio, dalla situazione nei luoghi di rifornimento agli orari di erogazione quotidiana. Le diatribe politiche appassionano sempre meno, la sfiducia è totale e l’unico problema urgente è come arrivare alla fine di una lunga giornata in cui bisogna bere, lavarsi, andare in bagno, pulire. Ogni sera gruppi WhatsApp di genitori e insegnanti confermano se la scuola l’indomani sarà aperta o chiusa. Ogni mattina i baristi si scusano di servire caffè, cappuccino e granita nei bicchieri di plastica, quasi fosse colpa loro. Disabili, anziani e ammalati lamentano solitudine e abbandono. I disagi continuano a essere totali nei rioni più alti rispetto al livello del mare.

L’acqua è un territorio di scontro, di decisioni imposte e subite

Negli stessi giorni è suonata come una presa in giro dal tempismo diabolico la notizia che Matteo Renzi vuole mantenere la promessa berlusconiana del ponte sullo Stretto. Mi immagino questo ponte come un prolungamento del Torrente Boccetta (la controversa arteria cittadina che collega il porto e l’autostrada), una bretella che attraversa una città e i suoi problemi reali.

Dicono che sarebbe un attimo tagliare il mare e arrivare dall’altra parte, dicono che non è nulla privare tutti dello spasso malinconico della traversata di ‘Ndria Cambria, il marinaio protagonista di Horcynus Orca (che arrivava addirittura da Napoli) o, con meno letteratura, di chiunque abbia fatto la spola con Villa S. Giovanni per l’università, per amore, o semplicemente per godersi il viaggio. Il dibattito è fermo al secolo scorso: inquinano di più le navi o il ponte, l’impatto ambientale è catastrofico o irrisorio, ci saranno tanti posti di lavoro però li perderanno quelli che lavorano nelle navi, interi quartieri della città saranno spazzati via. Di nuovo, l’acqua come territorio di scontro, di decisioni imposte e subite.

Con un esercizio di distopia, vedo questo ponte unire la punta di Trinacria con quella dello Stivale, e poi vedo un turista fermo sulla Salerno-Reggio Calabria. Dopo esser corso via grazie alla nuova, efficientissima, brillante opera, sarà costretto a rallentare, maledire l’ostacolo dei cantieri bloccati, ritrovarsi invischiato nell’eterno disagio dell’autostrada peggiore d’Italia. Forse ripenserà con più attenzione a cosa c’era sotto quella patina, alle furberie, ai piccoli e grandi affarismi, alla popolazione offesa che si è lasciato alle spalle, a quella storiaccia dell’acqua di Messina. Avrà, nelle lunghe e forzate ore di coda, tutto il tempo necessario a capire che i problemi non scompaiono con una struttura all’avanguardia che nasconde una città sotto un pilastro, come polvere sotto al tappeto. Forse gli verrà voglia di ripercorrerla all’indietro, quella linea della palma, tornare sui suoi passi e fermarsi a saperne di più.

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