20 febbraio 2019 13:11

Dave Asprey, che si definisce “il primo biohacker professionista del mondo”, è meglio noto come l’inventore del Bulletproof Coffee, un caffè con l’aggiunta di burro che aumenta l’energia e favorisce la concentrazione, per evitare di lasciarsi distrarre e innervosire dalle persone che continuano a chiederci perché diavolo mettiamo il burro nel caffè.

Ma come ha dichiarato in un’intervista qualche tempo fa, il caffè imburrato – se mi consentite questa assurda immagine – è solo la punta dell’iceberg. Asprey si fa anche iniettare le sue cellule staminali nel viso e nei genitali, si congela in una stanza per la crioterapia che ha in casa e si fa la doccia con i raggi infrarossi.

L’obiettivo, spiega, è usare “la scienza, la biologia e la sperimentazione su se stessi per assumere il controllo del proprio corpo, delle propria mente e della propria vita per migliorarli”.

Questa dichiarazione ha spinto Edith Zimmerman a chiedergli e chiedersi su The Cut: perché? Pur ammettendo che qualcuno potrebbe porle la stessa domanda a proposito della sua ginnastica quotidiana. “Che cosa stiamo facendo? E perché? Ho paura della morte? Di invecchiare? Sto evitando il presente e continuando a pensare che presto tutto andrà meglio?”.

Vivere più a lungo a che scopo? Per passare più tempo a essere biohacker?

È una bella domanda, che fa riflettere sul significato più profondo del verbo “migliorare” come lo usa Asprey. In un’intervista concessa l’anno scorso al Guardian Weekend, il biohacker milionario Serge Faguet – che prende 60 integratori al giorno e non vuole avere figli perché “non sono un investimento redditizio” – ha usato lo stesso linguaggio: “Alla fine, l’unica cosa che conta è essere capaci di migliorarsi”. Ma che cosa significa? Miglioramento, come ottimizzazione, è una di quelle parole che implicano una sorta di “superiorità” o un aumento dell’efficienza in generale.

Ma non esiste una superiorità o una maggiore efficienza generale. Anche se non vogliamo ammetterlo, miglioriamo sempre una cosa specifica, di solito a discapito di un’altra. I biohacker spesso sembrano intenderla nel senso di vivere più a lungo – Asprey mira ad arrivare a 180 anni – ma questa non è una risposta molto soddisfacente. Vivere più a lungo a che scopo? Per passare più tempo a essere biohacker?

Chiedersi il motivo
È possibile anche dare una lettura più cinica di questo concetto, secondo cui il beneficiario finale è sempre e solo il capo: mentre i super-ricchi possono fare i biohacker per divertimento, per la maggior parte di noi l’effetto principale di un aumento di energia o di concentrazione, o di imparare a dormire meglio, è diventare ingranaggi più efficienti della macchina industriale (vedi anche “produttività”, un altro concetto che si spaccia per qualcosa di fine a se stesso, quando in realtà ha sempre un altro scopo, che in genere è quello di far arricchire il nostro datore di lavoro).

Ma non credo che questo sia vero per tutti. Se teniamo al nostro lavoro, a passare del tempo con la nostra famiglia o al progetto di volontariato nel quale siamo impegnati, è perfettamente sensato volerlo fare con più energia, e forse anche in modo più efficiente. Personalmente, neanche a me dispiacerebbe vivere di più della mia aspettativa di vita ufficiale. Ma quello che conta è sapere – o almeno chiedersi – perché lo facciamo: che sia o meno il nostro, un motivo c’è sempre.

Per riformulare un vecchio adagio, sarebbe terribile passare la vita continuando ad aggiornare il nostro equipaggiamento da scalata per poi accorgerci, una volta arrivati in cima, che siamo sulla vetta sbagliata.

Consigli di lettura
Nel suo nuovo libro Counterproductive, Melissa Gregg spiega come in epoca moderna nel posto di lavoro abbia finito per predominare la “produttività personale”, provocando esaurimenti nervosi e isolamento.

(Traduzione di Bruna Tortorella)

Questo articolo è uscito sul quotidiano britannico The Guardian.

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