30 maggio 2016 15:45

Rieccola, la tragedia nel Mediterraneo. In primavera, quando il mare si fa calmo e il suo azzurro profondo scintilla al sole, torna ogni anno. È la stagione in cui, nel centro del Mediterraneo, si ricomincia a morire in massa.

Sembra che, solo nella settimana appena trascorsa, 700 profughi africani siano morti nel tentativo di partire dalla Libia e arrivare in Italia passando per il canale di Sicilia. Quelli che sono sopravvissuti alla traversata, o sono stati salvati in mare, raccontano che gli scafisti li hanno costretti a salire a bordo di imbarcazioni di gran lunga troppo piccole. Dicono che si sono ribellati, ma quelli li hanno picchiati e pigiati nelle stive come sardine, spesso con carburante sufficiente solo per poche miglia marine. E poiché la Libia, disgregata com’è, non riesce a controllare le sue coste, c’è da temere che nel Mediterraneo sarà un’altra estate triste.

Calcolo cinico e sterile

È anche tragico che dopo tutti questi anni l’Europa non sia ancora riuscita a elaborare una visione comune per affrontare questo orrore ricorrente. Si continua a sperare in silenzio che le immagini di barche capovolte e di cadaveri che galleggiano trattengano le persone dall’intraprendere la traversata. Come si vede, è un calcolo cinico e del tutto sterile.

Può darsi che non esistano ricette semplici, come si ripete di continuo. Ma l’insistenza su questa premessa è sospetta. In parte, tanta povertà di idee è colpa della mancanza di volontà politica: in questi tempi di cuori induriti e di populisti rabbiosi, per molti politici risulta difficile richiamarsi a valori e princìpi non negoziabili. Alcuni fanno addirittura costruire muri contro i rifugiati. Sarebbe tempo di pensare più in grande e con più coraggio. E non solo in modalità emergenziale, ma in prospettiva, sul lungo periodo.

Per l’Europa non sarebbe doveroso consentirsi un gesto di grandezza, al posto della piccineria del costruire muri?

L’Italia, per esempio, propone che l’Europa fornisca all’Africa generosi aiuti per il suo sviluppo. Così facendo, un giorno gli africani avrebbero validi motivi per restare a casa loro: posti di lavoro, futuro, una vita dignitosa. Il piano si chiama Migration compact. Naturalmente, di primo acchito l’idea suona come un’utopia, un compito epocale senza esiti garantiti. Ma il nocciolo del problema non è forse la disuguaglianza tra i mondi? E per l’Europa non sarebbe forse doveroso consentirsi un gesto di grandezza, al posto della piccineria del costruire muri?

I profughi che sono già in viaggio o che vorrebbero partire non dovrebbero essere lasciati alla mercé degli scafisti, dei rischi, della morte. Anche quelli che fuggono dalla miseria dovrebbero avere un’opportunità di poter presentare la richiesta di essere accolti in Europa. Almeno questo. Magari già presso i consolati europei presenti nei loro paesi, oppure anche in centri di accoglienza per i profughi che verrebbero costruiti grazie ai finanziamenti europei nei paesi di transito e dotati di tutto l’occorrente in modo che queste persone possano ricevere un trattamento dignitoso.

Un’utopia? A guardare le tristi immagini che come ogni anno ricominciano ad arrivare dal Mediterraneo centrale, solo le idee coraggiose sono grandi abbastanza.

(Traduzione di Marina Astrologo)

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