25 marzo 2022 16:45

Vent’anni fa, con la serie The wire, David Simon compose un ricco e coinvolgente affresco della città di Baltimora, partendo dal lavoro di un team di poliziotti antidroga, ma allargando lo sguardo alla politica, alle dinamiche sociali, alla scuola e al mondo dell’informazione della capitale del Maryland. Oltre alle sue qualità di scrittore, Simon sfruttò i dodici anni passati nella redazione del Baltimore Sun. Da un paio d’anni questo storico quotidiano locale non se la passa molto bene. La testata è stata infatti acquistata da un fondo d’investimenti il cui scopo sembra proprio quello di spolpare i quotidiani locali statunitensi per poi disfarsi rapidamente dei loro avanzi. Ma questa è un’altra storia, raccontata da McKay Coppins sul mensile The Atlantic, e ripubblicata da Internazionale sul numero 1435.

Per visualizzare questo contenuto, accetta i cookie di tipo marketing.

Invece, nella sua nuova serie creata per la Hbo, We own this city, Simon torna nella sua città partendo proprio da un’inchiesta di un giornalista del Baltimore Sun. La miniserie in sei episodi si basa infatti sul libro di Justin Fenton che ricostruisce uno dei più grandi scandali di corruzione mai visti nel dipartimento di polizia di Baltimora (Bpd). Fenton adesso lavora per il Baltimore Banner (organo di stampa che, come racconta sempre McKay, cerca di raccogliere l’eredità del Sun), ma per anni ha seguito l’operato delle forze dell’ordine arrivando a un passo dal Pulitzer nel 2016 per la copertura giornalistica dell’uccisione di Freddie Gray, ragazzo afroamericano di 25 anni morto nell’aprile del 2015 in seguito alle ferite riportate dopo essere stato arrestato illegalmente. Un’altra brutta storia che ha coinvolto il Bpd, che dai primi anni duemila non trova pace.

Proprio negli anni in cui The wire raccontava la lotta disperata di un gruppo di poliziotti contro il narcotraffico, il neoeletto sindaco di Baltimora Martin O’Malley rinnovò i vertici del Bpd con lo scopo di ridurre drasticamente i numeri del crimine, sull’esempio di quello che era successo a New York negli anni novanta. Tra le conseguenze di questo nuovo corso ci fu la creazione di unità speciali di agenti in borghese che dovevano mettere nel mirino obiettivi specifici, potendo contare su una certa autonomia. Una di queste unità fu la Gun trace task force (Gttf). Nata nel 2007 per ripulire le strade dalle armi da fuoco, si trasformò rapidamente in un team di poliziotti spregiudicati e corrotti che accumularono una lunga serie di reati. Nel 2017 la Gttf fu al centro di un’indagine dell’Fbi che portò all’arresto di nove agenti accusati, tra le altre cose, di associazione a delinquere, rapina, estorsione e furto. We own this city racconta la sua storia.

Molto interessante il cast della serie, creata da Simon insieme al fedelissimo George Pelecanos (The wire, Treme, Deuce) e diretta da Reinaldo Marcus Green, il regista di Una famiglia vincente. King Richard. Jon Bernthal (Show me a hero, The walking dead, The Wolf of Wall street, Una famiglia vincente) interpreta il sergente Wayne Jenkins, figura di riferimento del Gttf. Josh Charles (L’attimo fuggente, The good wife), che è originario di Baltimora, veste i panni del detective Daniel Hersl, anche lui coinvolto nello scandalo. L’attrice britannica Wunmi Mosaku (Lovecraft Country, Loki, His house) è la procuratrice che indaga sugli abusi del Gttf insieme all’agente dell’Fbi Erika Jensen, interpretata da Dagmara Domińczyk (Succession). Ritroveremo anche alcuni interpreti di The wire, come Jamie Hector (l’indimenticabile Marlo Stanfield), Delaney Williams, Domenick Lombardozzi e Tray Chaney. We own this city debutterà il 25 aprile su Hbo e quindi ci aspettiamo di vederla in tempi ragionevoli su Sky. The wire invece si può trovare on demand su Sky e Now Tv.

Per visualizzare questo contenuto, accetta i cookie di tipo marketing.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it