17 settembre 2018 12:16

Dicono che la guerra in Siria sia arrivata al capolinea, ma la realtà è che si tratta di un conflitto sempre più internazionalizzato e complesso. La lista dei paesi coinvolti è impressionante e rende la Siria il banco di prova per diversi rapporti di forza globali.

Nella notte tra il 15 e il 16 settembre, l’aviazione israeliana ha bombardato alcuni obiettivi nei pressi di Damasco, depositi di munizioni chiaramente legati all’Iran. Nel giro di 18 mesi, Israele ha effettuato, senza tanti proclami, almeno 200 raid aerei in Siria.

Da una decina di giorni l’aviazione russa si è attivata per preparare il terreno all’offensiva a Idlib, l’ultima grande regione che sfugge al controllo del regime siriano. La Russia mantiene da tempo una presenza militare in Siria, soprattuto nella base navale di Tartus, risalente all’epoca sovietica.

Anche l’Iran partecipa in modo decisivo alla riconquista dei territori persi da Damasco, con i suoi Guardiani della rivoluzione e attraverso l’intermediazione di Hezbollah, organizzazione libanese intervenuta fin dall’inizio per aiutare l’esercito siriano in difficoltà.

La Turchia è l’altro grande attore regionale che mantiene un contingente permanente in Siria, nella zona ribelle di Idlib e più a nord, nella regione di Afrin che ha strappato ai curdi all’inizio dell’anno.

Anche gli occidentali sono ancora presenti in Siria, seppur meno vistosi e numerosi, soprattutto dopo la caduta di Raqqa, ex capitale dello Stato islamico. Gli Stati Uniti e la Francia mantengono in Siria alcune divisioni delle loro forze speciali, per contrastare gli ultimi jihadisti dell’Isis nei pressi della frontiera irachena ma anche per proteggere i loro alleati curdi, minacciati dalla Turchia a nord.

Ognuno difende i suoi personali interessi. Israele vuole impedire all’Iran di costruire basi in Siria, la Turchia è ossessionata dai curdi e la Russia ha individuato nella Siria il trampolino ideale per ritrovare il suo status di grande potenza. La Francia, orfana di una strategia siriana, spera di rientrare un giorno nel grande gioco regionale. Infine gli Stati Uniti cercano un equilibrio tra le posizioni contrastanti di Trump, che vuole andare via dalla Siria, e del Pentagono, che vuole restare.

E i siriani, in tutto questo? La guerra gli ha portato via ogni controllo del loro destino, lo stesso controllo che la rivoluzione del 2011 avrebbe voluto regalargli. Qualche giorno fa la Russia, la Turchia e l’Iran erano riuniti per discutere del futuro della Siria. Senza i siriani.

Domenica 16 settembre il regime di Damasco ha organizzato le prime elezioni municipali nelle zone sicure, ma tutti i candidati appartenevano al partito di Bashar al Assad. Un po’ come accadeva prima del 2011, ma con alle spalle 350mila morti e cinque milioni di profughi.

A Idlib, in territorio ribelle, in questi giorni sono state organizzate importanti manifestazioni contro il regime di Damasco ma anche contro i jihadisti. Si tratta dell’ultimo barlume di resistenza di una voce che non viene più ascoltata. Il destino della Siria si decide altrove.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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