27 novembre 2018 10:30

Di tutti gli strumenti della potenza, Putin ne ha uno prediletto: l’esercito. Il presidente russo non ha le tasche piene come i suoi amici cinesi, che comprano influenza a suon di miliardi di dollari d’investimenti, né il potere di seduzione che ha segnato a lungo il successo degli Stati Uniti. No, Putin ha un esercito ben oliato e non esita a utilizzarlo.

Negli ultimi anni Siria e Ucraina sono state teatro della riaffermazione della potenza russa in due territori che un tempo facevano parte dell’Unione Sovietica (l’Ucraina) o della sua sfera d’influenza (la Siria).

Il 25 novembre l’esercito russo è entrato in azione in entrambi i fronti: al largo della Crimea, con una serie di incidenti navali con l’Ucraina, e in Siria, dove l’aviazione russa ha effettuato i primi bombardamenti degli ultimi due mesi.

Il contesto dei due paesi è diverso, ma il messaggio di Putin è lo stesso: la Russia è una grande potenza che sa farsi rispettare. Questo messaggio, tutt’altro che insignificante, è rivolto all’estero – a pochi giorni del vertice del G20 in programma a Buenos Aires nel fine settimana, a cui parteciperà lo stesso Putin – ma anche verso l’interno, in un momento in cui la popolarità del presidente è in calo dopo la riforma delle pensioni.

Dal 2014 Putin ha trasformato l’Ucraina nel luogo in cui fermare l’avanzata dell’occidente nell’ex mondo sovietico. Dopo il cambio di governo a Kiev e la rivolta di piazza Maidan, alla fine del 2013, Mosca ha annesso la Crimea e successivamente organizzato e armato i ribelli del Donbass, nell’est dell’Ucraina, che oggi portano avanti una guerra latente.

L’incidente navale era prevedibile, considerando la strategia russa di accerchiamento del mar di Azov, mare condiviso da Ucraina e Russia ma stretto a tenaglia da Mosca dopo l’annessione della Crimea e la costruzione di un ponte che la collega al resto dei territori russi. Dai porti sul mar di Azov transita buona parte delle esportazioni ucraine, ormai dipendenti dalla buona volontà di Mosca.

Vladimir Putin sta mettendo in atto con grande abilità un’escalation calcolata della tensione. Sa che gli occidentali protesteranno, ed effettivamente le rimostranze sono arrivate domenica e si sono ripetute lunedì alle Nazioni Unite. La Nato è solidale con l’Ucraina e Kiev ha decretato la legge marziale. Ma nei fatti, nessuno in occidente è pronto a morire per il mar d’Azov.

Di sicuro non intende farlo Donald Trump, che nel suo unico commento si è ben guardato dall’immischiarsi nella faccenda, mentre la sua ambasciatrice all’Onu parlava di “provocazione” russa.

La soluzione a questa instabilità non può essere militare, questo lo sanno (più o meno) tutti. Al contempo, la via della diplomazia e della concertazione non ha mai dato frutti, e gli sforzi franco-tedeschi per trovare una soluzione diplomatica in Ucraina sono a un punto morto. Non resta che la via della de-escalation.

In attesa dei diplomatici, Vladimir Putin testa l’“altro” campo e constata di avere via libera.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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