18 novembre 2019 12:02

L’Iran è entrato nella lunga lista di paesi dove sono in corso rivolte dal contenuto principalmente sociale. In questo caso la causa scatenante della protesta è l’aumento del prezzo del carburante, storicamente basso in un paese produttore di petrolio e cresciuto improvvisamente del 50 per cento nella giornata del 15 novembre.

Gli iraniani hanno manifestato in massa nelle strade di una decina di città del paese. Un poliziotto è stato ucciso e diversi civili sono stati feriti o arrestati, mentre la connessione a internet è stata interrotta. Inoltre, fatto particolarmente significativo in Iran, il bazar di Teheran è stato chiuso. La presenza della polizia è ormai massiccia.

Ma in Iran la natura del regime e il contesto geopolitico fanno sì che una rivolta sociale sia più di questo. Un segno della gravità della situazione è il fatto che la guida suprema, l’ayatollah Ali Khamenei, abbia preso la parola il 17 novembre per difendere la decisione di aumentare il prezzo del carburante, ma anche per accusare i “controrivoluzionari” di aver organizzato le manifestazioni. In questo modo Khamenei ha messo la sua autorità sulla bilancia, nella speranza che possa bastare a calmare le acque.

Economia asfissiata
Il potere iraniano ha la sensazione di essere assediato e che un “fronte interno” si sia aggiunto a una lunga lista di minacce, di cui la più seria è chiaramente rappresentata dalle sanzioni economiche statunitensi, tra le cause della decisione di aumentare il prezzo del carburante. L’economia iraniana è asfissiata e la popolazione ne subisce gli effetti concreti.

Ma non è tutto. Da settimane le rivolte popolari in Iraq e Libano hanno preso una piega che preoccupa Teheran. In Iraq, dove la repressione ha già provocato 300 vittime, i manifestanti attaccano i simboli dell’influenza iraniana, a cominciare dai ritratti dell’ayatollah. L’Iran ha costruito un’influenza considerevole attraverso la mediazione delle milizie sciite, potenti tanto quanto l’esercito iracheno. Ma gli iracheni, compresi gli sciiti, non lo accettano.

Il braccio di ferro con gli Stati Uniti, tra l’altro, ha rafforzato l’ala più intransigente del regime iraniano

In Libano l’alleato di Teheran, Hezbollah, è ormai sulla difensiva davanti a manifestazioni che vorrebbero porre fine a un sistema politico basato sulle confessioni religiose di cui, paradossalmente, l’organizzazione politico-militare sciita è la principale sostenitrice.

Il braccio di ferro con gli Stati Uniti ha avuto come conseguenza quella di rafforzare l’ala più intransigente del regime iraniano, a cominciare dai guardiani della rivoluzione. Questa evoluzione è testimoniata dall’impegno con cui Teheran sta rilanciando il suo programma nucleare per rispondere alle sanzioni.

Isolato diplomaticamente dalla violazione progressiva dell’accordo del 2015 e contestato nei paesi dell’“arco sciita” in Medio Oriente, il potere iraniano deve affrontare un’ondata di proteste sociali della cui legittimità è perfettamente consapevole, in un contesto di marasma economico.

Attaccando i “nemici della rivoluzione”, l’ayatollah Khamenei si assume il rischio di veder crescere e prolungarsi le manifestazioni, magari fino a mettere in discussione la causa della rivoluzione islamica.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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