17 dicembre 2019 11:57

Alle porte dell’Europa, il conflitto in Libia sta vivendo non solo una brusca escalation, ma anche un’inquietante internazionalizzazione. La Libia ha preso il posto della Siria come teatro di scontro, sempre più diretto, tra le potenze regionali.

Dopo il rovesciamento del regime del colonnello Gheddafi, nel 2011, la Libia non ha più ritrovato il suo equilibrio, tra signori della guerra, particolarismi regionali, profumo di petrolio e una guerra d’influenze per procura.

In prima fila, a sfidarsi tra loro, troviamo Turchia, Qatar, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita ed Egitto, ma anche la Russia e gli europei, tra cui i francesi che ancora non hanno un ruolo molto chiaro.

Da un lato c’è il governo di Tripoli, guidato dal primo ministro Fayez al Sarraj e riconosciuto dalla comunità internazionale. Dall’altro c’è il maresciallo Khalifa Haftar, anziano militare che si presenta come “salvatore”, sul modello del classico “uomo forte” del mondo arabo. Haftar ha appena scatenato una battaglia per impadronirsi della capitale.

La posta si è improvvisamente alzata, perché la Turchia di Recep Tayyip Erdoğan minaccia di inviare truppe in Libia e in settimana farà votare d’urgenza al parlamento un decreto per sostenere militarmente il governo di Tripoli. La Turchia, insieme al Qatar, appoggia il governo di Al Sarraj.

Sull’altro fronte, il maresciallo Haftar è sostenuto con denaro e armi (soprattutto droni da combattimento) dagli Emirati Arabi Uniti, dall’Arabia Saudita, dall’Egitto e dalla Russia, che fornisce mercenari le cui foto circolano sui social network.

Un gioco in stallo
La situazione in Libia è il segno più evidente di una governance mondiale in stallo. Le Nazioni Unite sono paralizzate, e l’inviato Onu per la Libia Ghassan Salamé tenta invano di far funzionare un processo politico sovrastato dal rumore delle armi.

La comunità internazionale non riesce nemmeno a far rispettare le proprie risoluzioni, a cominciare dall’embargo sulle armi violato continuamente, come abbondantemente documentato. D’altronde basta osservare gli armamenti nuovi di zecca utilizzati sul campo.

La Turchia ha fatto schizzare la tensione alle stelle inimicandosi gli europei, perché approfitta del sostegno nei confronti di Tripoli per guadagnare diritti marittimi che la mettono in contrasto con la Grecia e con Cipro. Un nuovo tassello della partita complessa giocata da Ankara, elettrone libero della Nato.

Finora l’Unione europea non è stata all’altezza della crisi, perché da tempo è indebolita da una sorda rivalità franco-italiana. Ora, però, sembra che il coordinamento sia migliore tra Francia, Italia e Germania. Inoltre il nuovo responsabile per la politica estera dell’Unione, lo spagnolo Josep Borrell, conosce bene l’argomento.

In questa crisi l’Europa ha molti interessi, il cui potenziale di destabilizzazione va ben oltre le frontiere libiche. Per questo non può restare passiva, o peggio ancora divisa. La Libia deve diventare la priorità esterna dell’Unione.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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