08 ottobre 2020 10:34

Una dopo l’altra emergono nuove crisi sulla mappa dell’ex Unione Sovietica. L’ultima in ordine di tempo è esplosa in Kirghizistan, repubblica dell’Asia centrale dove alcuni brogli elettorali hanno provocato una rivolta violenta dei cittadini e le dimissioni del primo ministro.

Non esiste un legame diretto tra le proteste in Bielorussia, la guerra tra Azerbaigian e Armenia sul Nagorno Karabakh, la rivolta postelettorale in Kirghizistan e la crisi infinita in Ucraina. Eppure tutte queste esplosioni hanno come denominatore comune la Russia, e si svolgono in territori che Vladimir Putin considera di sua pertinenza. Parliamo di paesi in cui la Russia ha interessi diretti, accordi per la difesa, basi militari e grandi investimenti politici. L’atteggiamento della Russia, di conseguenza, è determinante nello svolgimento di queste crisi. Ma quanto è stabile Mosca?

Il Cremlino non ha agito con la stessa brutalità mostrata in Ucraina nel 2014, quando aveva occupato la Crimea e organizzato la destabilizzazione del Donbass. All’epoca Putin era convinto di avere davanti una “rivoluzione colorata” filo-occidentale, come sono definiti i sollevamenti popolari nelle repubbliche ex sovietiche.

L’attesa di Mosca
In Bielorussia, dove gli occidentali hanno esitato prima di mobilitarsi a sostegno dei manifestanti per la democrazia, Putin ha deciso di appoggiare il dittatore Aleksandr Lukašenko, ma senza ricorrere (almeno finora) a un intervento in forze che gli permetterebbe si mettere fine alle proteste.

Mosca ha mostrato la stessa prudenza nel contesto del conflitto azero-armeno. Il 7 ottobre il Cremlino ha fatto presente che i combattimenti non si svolgono sul territorio armeno propriamente detto, dunque il trattato di difesa russo-armeno non è chiamato in causa. A preoccupare Putin, però, è soprattutto l’irruzione della Turchia come attore regionale, uno sviluppo che chiaramente minaccia l’egemonia russa sul Caucaso meridionale.

Per il Cremlino sono preoccupanti le proteste elettorali perché in Russia ci sono gli stessi ingredienti di scontento

Per quanto tempo la Russia manterrà questo atteggiamento attendista? Difficile pensare che Putin possa rinunciare a ricoprire un ruolo centrale nel mondo ex sovietico, un progetto a cui negli ultimi anni ha dedicato grandi sforzi per restituire alla Russia il ruolo che sente di meritare.

Ma davvero la Russia è minacciata? L’esempio offerto da mesi dai bielorussi e in questi ultimi giorni dai kirgizi contro le manovre elettorali dei rispettivi leader rappresenta un motivo di preoccupazione, perché anche in Russia ci sono tutti gli ingredienti per uno scenario simile, anche se il potere sorveglia la situazione da vicino.

Immediatamente viene da pensare all’avvelenamento dell’oppositore Aleksej Navalnyj durante la sua campagna per le elezioni regionali in Russia. Navalnyj è sopravvissuto a un tentativo di omicidio al Novichok, come ha appena confermato un’analisi che sta alimentando le tensioni con l’Europa.

Nella regione è in corso un cambiamento generazionale, quasi trent’anni dopo la caduta dell’Urss. Navalnyj lo ha capito benissimo, tanto da concedere la sua prima intervista a un mezzo d’informazione russo proprio a un canale YouTube. Il filmato ha ottenuto milioni di visualizzazioni in poche ore.

Questa aspirazione al cambiamento non può che inquietare Putin, soprattutto in un momento in cui ha appena fatto approvare il prolungamento eterno del suo potere.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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