07 luglio 2021 10:05

È una storia classica a monte e a valle, di un grande fiume mitico, e di uno dei grandi problemi del secolo: l’accesso all’acqua. Il fiume in questione è il Nilo, uno dei più lunghi del mondo, che minaccia di scatenare una guerra fra i tre paesi che attraversa: l’Etiopia, il Sudan e l’Egitto.

Da dieci anni l’Etiopia ha avviato la costruzione di una delle più grandi dighe idroelettriche d’Africa, che ha creato un bacino grande 79 chilometri quadrati sul Nilo Azzurro, uno dei due rami del fiume. Ma tutti i negoziati tra l’Etiopia e i due paesi a valle, Sudan ed Egitto, si sono rivelati infruttuosi. E intanto i toni si sono alzati sempre di più.

Addis Abeba ha annunciato il 5 luglio l’avvio della seconda fase del riempimento del bacino, provocando una levata di scudi al Cairo, dove il Nilo è questione di sicurezza nazionale, vitale per l’irrigazione e il consumo idrico di milioni di persone. Una riunione del Consiglio di sicurezza dell’Onu è in programma per l’8 luglio, ma l’Etiopia accetta solo la mediazione dell’Unione africana, che tergiversa.

Orgoglio nazionale
L’Egitto teme una riduzione del 25 per cento del flusso del Nilo durante il periodo di riempimento del bacino in Etiopia, nella stagione delle piogge. Questo calo minaccia direttamente la produzione alimentare egiziana. Il disaccordo si basa dunque sul riempimento del bacino: l’Etiopia vuole completare l’opera in sette anni, mentre l’Egitto chiede almeno il doppio.

Il capo di stato egiziano, il maresciallo Abdel Fattah Al Sisi, minaccia apertamente l’Etiopia di un’azione militare se non sarà trovato un accordo. Al Sisi ha il sostegno del Sudan, rimasto neutrale a lungo perché beneficerà dell’elettricità prodotta dalla diga. Ma ora Khartoum è in conflitto con l’Etiopia per una questione di confini.

Il buon senso spingerebbe a condividere le risorse, come si fa per il fiume Senegal

Le dighe sono un motivo di orgoglio nazionale e spesso di scontro. Anche l’Egitto aveva trasformato la diga di Assuan, costruita dall’Unione Sovietica, in un pilastro dell’indipendenza nazionale, all’epoca di Nasser e della guerra fredda. L’Etiopia ha associato lo stesso orgoglio al suo progetto, pomposamente battezzato Grand ethiopian renaissance (Grande rinascita etiope), e agendo unilateralmente mostra di non voler cedere alle pressioni.

L’Etiopia deve già fare i conti con la guerra nel Tigrai, ma è proprio perché ha subìto una sconfitta cocente nella provincia interna, dove l’esercito è stato costretto a ritirarsi, che il primo ministro Abiy Ahmed non può permettersi un passo indietro sulla diga.

Dunque ci sono tutti gli ingredienti per un peggioramento della crisi: un governo etiope il cui prestigio è a rischio, un leader egiziano che ha creato un’unione sacra intorno a sé ricevendo perfino l’appoggio dei Fratelli musulmani (i cui vertici sono in carcere) e un Sudan già mobilitato alla frontiera.

In una regione dove i temi caldi non mancano, il buon senso spingerebbe a condividere le risorse. L’esempio del fiume Senegal, gestito da tutti i paesi che attraversa, potrebbe ispirare quello del Nilo. Ma finora le rivalità tra potenze hanno impedito qualsiasi accordo.

Tutto questo sembra dare ragione agli esperti che per anni hanno ribadito che le guerre del ventunesimo secolo si sarebbero combattute per l’acqua e non più per il petrolio.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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