02 febbraio 2023 10:00

Possiamo ancora parlare con Benjamin Netanyahu? La questione dell’opportunità di un dialogo con personalità diaboliche si pone regolarmente, come dimostra il recente caso di Vladimir Putin. Un altro esempio si è verificato quando l’Austria è stata isolata per aver dato spazio al leader di estrema destra Jörg Haider.

Per il momento nessuno ha osato chiedere un boicottaggio di Netanyahu, che anzi il 2 febbraio arriverà a Parigi per incontrare Emmanuel Macron. Resta il fatto che i leader politici con cui “Bibi” ha costruito la coalizione di governo in Israele fanno sembrare moderati tutti i rappresentanti dell’estrema destra europea.

In Israele l’argomento preoccupa, in prospettiva, e il governo cerca di evitare un possibile isolamento causato dalla svolta intrapresa dallo stato ebraico. Le prime settimane del nuovo esecutivo hanno fatto scattare un avviso di tempesta sulla regione, dovuto all’aumento della violenza che da gennaio ha provocato decine di morti (israeliani e palestinesi) ma anche alle minacce nei confronti della democrazia israeliana.

Crociata ideologica
Segno di un cambiamento epocale, i paesi arabi del golfo che hanno stretto legami con Israele stanno chiudendo gli occhi sulla questione palestinese. I loro rapporti nel campo della sicurezza con Tel Aviv sono evidentemente più importanti. Il 1 febbraio Mahamat Déby, presidente del Ciad, un paese musulmano dell’Africa centrale, si trovava a Gerusalemme e ha annunciato l’apertura di un’ambasciata nello stato ebraico.

La visita di Déby contrasta con quella del segretario di stato americano Antony Blinken, avvenuta all’inizio della settimana. Blinken, arrivato in Israele per fare appello alla calma dopo l’escalation di violenza dei giorni precedenti, rappresenta un’amministrazione democratica, e Netanyahu non ha mai nascosto la propria ostilità nei confronti del Partito democratico statunitense, intensificata ai tempi di Barack Obama.

L’impasse attuale con Teheran rafforza la posizione di Netanyahu

Davanti ai mezzi d’informazione e affiancato da Netanyahu, Blinken ha messo in guardia contro la possibilità di una regressione democratica in Israele, condannando lo sviluppo di nuove colonie in Cisgiordania. Come se non bastasse, il segretario di stato ha incontrato i rappresentanti della società civile che Netanyahu considera come “nemici”.

Questa presa di posizione potrà alterare il corso della politica israeliana? È poco probabile, perché Netanyahu e la sua coalizione si sono imbarcati in una crociata ideologica che potrebbe cambiare la natura dello stato ebraico e non si lasceranno influenzare da attori esterni. Nemmeno da Washington.

La distanza sarebbe ancora più netta con l’Europa se mai il vecchio continente dovesse mostrarsi in disaccordo, tanto più che Netanyahu ha in mano una carta importante che riguarda l’Iran, come dimostra il raid israeliano contro una fabbrica militare effettuato tra il 28 e il 29 gennaio. L’impasse attuale con Teheran rafforza la posizione di Netanyahu, che è sempre stato contrario a qualsiasi accordo con l’Iran.

Il granello di sabbia nella postura del leader israeliano è il rischio di un’esplosione dei palestinesi, ormai dimenticati da tutti, con la possibilità che l’assenza di qualsiasi speranza porti alla violenza. Gli alleati occidentali di Israele possono davvero difendere il diritto in Ucraina e ignorarlo in Palestina? Affrontare la questione dei rapporti con Israele potrebbe diventare inevitabile. Potremmo ancora parlare con Benjamin Netanyahu se la sua coalizione assestasse il colpo di grazia a qualsiasi prospettiva di pace?

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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