Il nuovo ministro della giustizia israeliano, Yariv Levin, sta andando all’assalto della corte suprema, con l’appoggio del primo ministro Benjamin Netanyahu. Lo fa attraverso una riforma che concede al parlamento il potere di annullare in qualsiasi momento le decisioni della corte. Il clamore suscitato dalla riforma è comprensibile, ma questo non è che un attacco a un’istituzione di per sé già ostile alla democrazia. La corte suprema infatti ha avuto un ruolo decisivo nella distruzione della vita pubblica israeliana. Questa patetica battaglia a difesa della democrazia israeliana, una democrazia riservata esclusivamente ai privilegiati, è la barzelletta dell’anno. È una tempesta nella tazza di tè dell’apartheid: la nostra democrazia per soli ebrei è in pericolo. Salvatela! Tutto il pathos e l’artiglieria sono stati tirati fuori per salvare una finta libertà.

È vero che Yariv Levin minaccia di subordinare il potere giudiziario a quello legislativo e di trasformare Israele in uno stato in cui non c’è la divisione dei poteri e decide solo il governo. Ovviamente non sarebbe una democrazia. Ma non è una democrazia nemmeno un paese in cui cinque milioni di persone (i palestinesi) vivono senza diritti, con l’approvazione della corte suprema. Di conseguenza, l’attuale isteria collettiva è assurda e perfino oltraggiosa.

Il clamore suscitato dalla riforma della corte suprema è comprensibile. Ma bisogna ricordare che questa istituzione non ha protetto Israele, quindi non c’è motivo di difenderla

Proprio oggi, nel momento più difficile, non dobbiamo dimenticare quello che è successo finora. La corte suprema ha gettato i semi velenosi dei frutti che stiamo raccogliendo. Se si fosse rifiutata di legittimare le politiche violente del governo israeliano quando aveva il potere di farlo, non ci sarebbero stati personaggi come Itamar Ben Gvir, l’estremista di destra che è diventato ministro per la sicurezza nazionale; non ci sarebbero stati gli insediamenti e forse non ci sarebbe neanche l’occupazione.

Oggi, nel momento più difficile, siamo obbligati a ricordare che questa istituzione non ha protetto Israele, quindi non c’è motivo di difenderla, come se danneggiandola si mettesse a rischio la nostra democrazia. Israele non è più una democrazia. È impossibile considerarlo tale oggi: l’occupazione è diventata una parte integrante dello stato e definisce il suo malvagio sistema di governo, cioè l’apartheid, con l’approvazione della corte suprema.

Cos’avrebbe potuto fare l’alto tribunale? Molto. Se non avesse legittimato i crimini del governo fin dall’inizio, se non avesse approvato quasi tutto quello che facevano i vertici della difesa, se non avesse chiuso gli occhi e messo a tacere la sua stessa voce, Israele sarebbe stato diverso. La presidente della corte, Esther Hayut, e ancora di più i suoi predecessori avrebbero dovuto pronunciare i discorsi fatti nei giorni scorsi molto tempo fa.

La corte ha tradito la fiducia del popolo palestinese, negandogli qualunque aiuto. Non ha mai stabilito un principio sulla legalità degli insediamenti israeliani in Cisgiordania; ha approvato le detenzioni amministrative senza processo; ha esitato per anni prima di schierarsi contro la tortura; ha approvato le deportazioni di massa, come quella di 400 attivisti di Hamas nel 1992; ha approvato la demolizione di case e ha voltato le spalle al diritto internazionale. Ha sabotato la democrazia.

I politici di destra e i coloni dovrebbero essere grati a questa corte per aver legittimato dei crimini. La sinistra israeliana invece avrebbe dovuto criticarla già molto tempo fa.

Subordinare il potere giudiziario al potere legislativo, quindi di fatto a quello esecutivo, è ovviamente antidemocratico. Ma è esattamente ciò che è successo con l’occupazione. La corte suprema ha funzionato più come un tribunale militare che come un garante. Era il servo obbediente del potere esecutivo. È impossibile cantarne le lodi ora, e cospargersi il capo di cenere perché viene indebolita.

Un grande pericolo incombe ora sui diritti civili, sulla libertà d’espressione e su altre libertà in Israele. Ci ritroveremo presto con una knesset (parlamento) per soli ebrei, e questo sarà solo l’inizio.

La situazione è molto seria, ma del resto il paese sta raccogliendo i frutti della legittimazione data all’occupazione dal suo sistema giudiziario. È da lì che tutto è cominciato. Quello che è venuto dopo era inevitabile. ◆ dl

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Questo articolo è uscito sul numero 1495 di Internazionale, a pagina 36. Compra questo numero | Abbonati