03 ottobre 2023 10:55

Il simbolo è potente: è la prima volta che dei ministri europei si riuniscono fuori da un paese dell’Unione. A ben vedere, però, sembra di assistere a una variante diplomatica del metodo Coué, che consiste nel ripetere un messaggio per convincere se stessi e gli altri. Il 2 ottobre, a Kiev, i ministri degli esteri europei hanno ribadito solennemente il loro impegno al fianco dell’Ucraina, ma è probabile che lo abbiano fatto anche perché questo impegno non è più così evidente.

Negli ultimi tempi ci sono stati vari tentennamenti, tanto che era ormai doveroso mostrare quell’unità che è uno dei grandi risultati ottenuti dall’Europa dopo l’invasione russa dell’Ucraina. Ma l’unità mostra qualche crepa: assenti illustri dalla foto di famiglia erano il ministro ungherese, a causa della sua “putinofilia”, e quello polacco, ufficialmente malato, ma di una malattia che coincide con i recenti screzi ucraino-polacchi. Teniamo inoltre presente che tra qualche settimana, sulla scia della vittoria elettorale del filorusso Robert Fico, potrebbe mancare anche il ministro slovacco.

A parte queste sfumature, a Kiev è stato mandato un messaggio di fermezza, incarnato dalla punchline di Annalena Baerbock. La ministra degli esteri tedesca ha previsto che presto l’Europa andrà “da Lisbona a Luhansk”. Luhansk è una città della regione ucraina del Donbass, annessa dalla Russia dopo l’invasione.

Crisi e tentennamenti
Oggi nessuno può dubitare che la guerra sia destinata a durare, innanzitutto perché la controffensiva ucraina non è riuscita (almeno finora) a modificare radicalmente il rapporto di forze sul campo. L’autunno impedirà i movimenti dei mezzi pesanti, dunque le posizioni russe e ucraine rischiano di essere congelate per qualche mese.

In questo contesto qualsiasi cambiamento nel sostegno occidentale all’Ucraina potrebbe avere conseguenze rilevanti. D’altronde il piano iniziale di Vladimir Putin era proprio quello di affidarsi alle divisioni o alla stanchezza degli alleati di Kiev.

La crisi con la Polonia ha dimostrato che anche un paese molto impegnato al fianco dell’Ucraina può cambiare orientamento, per motivi condivisibili o meno. Pochi giorni dopo lo scoppio della crisi tra Kiev e Varsavia è arrivata la vittoria in Slovacchia di un candidato che ha basato la sua campagna sull’interruzione degli aiuti militari all’Ucraina.

Per non parlare di quello che sta succedendo negli Stati Uniti, dove all’interno dei ranghi repubblicani cresce un sentimento contrario agli aiuti militari all’Ucraina. La sorpresa è arrivata dal compromesso appena raggiunto tra la Casa Bianca e i repubblicani per consentire il finanziamento dell’amministrazione: il prezzo pagato dai democratici è stato il rinvio di un pacchetto di aiuti da sei miliardi di dollari per l’Ucraina.

Il 2 ottobre Joe Biden ha cercato di rassicurare Kiev sulla conferma degli aiuti, esattamente come hanno fatto gli europei. Ma è evidente che questo sostegno sia vincolato al risultato delle presidenziali statunitensi dell’anno prossimo e ai possibili cambiamenti politici in Europa. Tutto questo val bene un viaggio a Kiev per ripetere (e per convincersi) che non ci saranno inversioni di rotta.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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