22 marzo 2024 08:54

Appena un mese fa gli Stati Uniti mettevano il veto a una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu perché non condividevano l’idea di un cessate il fuoco senza condizioni a Gaza. Tuttavia, il 21 marzo Washington ha presentato una proposta di risoluzione che chiede “un cessate il fuoco immediato”: è un punto di svolta nella diplomazia statunitense. La risoluzione potrebbe essere messa ai voti al Consiglio di sicurezza già oggi. Al vertice di ieri anche gli europei hanno chiesto una “pausa umanitaria immediata”.

Il motivo di questo cambiamento non è difficile da individuare. Dall’inizio di marzo, infatti, l’amministrazione Biden critica apertamente il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e la sua guerra, che ha provocato una catastrofe umanitaria a Gaza. Il leader della maggioranza democratica al senato Chuck Schumer ha addirittura chiesto un’uscita di scena di Netanyahu.

Con il loro progetto di risoluzione gli statunitensi hanno aumentato la pressione su Israele. Il segretario di stato Antony Blinken è nello stato ebraico per dare forza al messaggio, impedire un’offensiva israeliana nella città sovraffollata di Rafah e pensare al dopoguerra.

Cosa succederebbe se Netanyahu si rifiutasse di ascoltare gli americani? Si tratta di uno scenario assolutamente plausibile, anche perché il primo ministro israeliano è molto abile. Netanyahu sta puntando tutto su una vittoria di Trump contro Biden, e in quest’ottica si prepara a rivolgersi ai parlamentari della camera controllata dai repubblicani per mobilitarli. Una mossa esplosiva, considerando che siamo in un anno elettorale per gli Stati Uniti.

Inoltre, Netanyahu sta cercando di fare breccia nella popolazione israeliana, presentandosi come l’unico uomo capace di vincere questa guerra, anche contro il parere dei migliori amici di Israele, gli Stati Uniti. Per un primo ministro che non va oltre il 20 per cento di gradimento si tratta una scelta rischiosa, ma comunque dal suo punto di vista è un rischio che vale la pena di correre.

Israele e Stati Uniti giocano una partita a poker in cui entrambi stanno bluffando. Washington non abbandonerà mai Israele, a prescindere da tutto, anche solo vista l’ombra iraniana che aleggia sulla regione. Dunque le pressioni della Casa Bianca saranno sempre limitate. Di contro, Israele ha un bisogno vitale del sostegno americano, soprattutto per quanto riguarda le armi e le munizioni. Lo scontro, insomma, si svolge in un contesto che ha dei limiti chiari.

Gli statunitensi confidano di portare velocemente a termine il negoziato che riprenderà il 22 marzo in Qatar, con la speranza di ottenere un cessate il fuoco di sei settimane, così da permettere uno scambio tra ostaggi e prigionieri e l’arrivo degli aiuti alla popolazione di Gaza.

Nel caso in cui il piano dovesse fallire e Netanyahu dovesse ordinare un attacco contro Rafah, dove ritiene si nascondano i leader di Hamas, gli statunitensi si ritroverebbero con le spalle al muro. Per essere coerenti dovrebbero esercitare una reale pressione su Israele e mostrare il loro disaccordo sulla catastrofe umanitaria in corso.

Biden lo deve soprattutto ai suoi elettori che denunciano il sostegno dell’amministrazione a Israele e minacciano di non votare il prossimo 5 novembre. Dopo sei mesi di una campagna militare spietata e senza esclusione di colpi, è arrivato il momento della verità per i rapporti israelo-americani, e nello specifico per quelli tra Biden e Netanyahu. Gli Stati Uniti devono approvare al più presto la loro risoluzione a favore di un cessate il fuoco immediato e soprattutto assicurarsi che sia rispettata.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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