30 maggio 2020 16:30

La crisi del covid-19 può accelerare l’adozione di un nuovo modello di sviluppo, più equo e sostenibile? Sì, ma a condizione di cambiare le priorità e di rimettere in discussione alcuni tabù nella sfera monetaria e fiscale, che dovrà essere messa al servizio dell’economia reale e di obiettivi sociali ed ecologici. Bisogna prima di tutto sfruttare lo stop forzato dell’economia per ripartire in modo diverso. Dopo una recessione simile, le istituzioni dovranno assumere un ruolo centrale nel rilanciare il mercato del lavoro. Ma bisogna farlo investendo in nuovi settori (sanità, innovazione, ambiente) e riducendo gradualmente le attività più inquinanti. Dobbiamo creare milioni di posti di lavoro e aumentare gli stipendi negli ospedali, nelle scuole e nelle università, potenziando l’efficienza energetica degli edifici e i servizi di prossimità.

Nell’immediato le riforme andranno finanziate attraverso l’indebitamento, con il sostegno delle banche centrali. Dal 2008 le banche centrali hanno stampato moneta per salvare le banche dalla crisi finanziaria che queste ultime avevano provocato. Il bilancio dell’Eurosistema (che comprende la Banca centrale europea e le banche centrali nazionali degli stati dell’Unione) è passato dai 1.150 miliardi di euro d’inizio 2007 ai 4.675 miliardi di fine 2018, cioè dal dieci per cento a quasi il quaranta per cento del pil dell’eurozona (che vale 12mila miliardi di euro).

Non c’è dubbio che questa politica abbia permesso di evitare i fallimenti in serie che trascinarono il mondo nella crisi del 1929. Ma questa emissione di moneta, decisa a porte chiuse e senza un vero radicamento democratico, ha anche contribuito a gonfiare i valori finanziari e immobiliari, avvantaggiando i più ricchi, senza ridurre i problemi strutturali dell’economia reale (scarsi investimenti, disuguaglianze, crisi ambientale).

L’eurozona resterà fragile finché continuerà a sottoporre i suoi tassi d’interesse alla speculazione

Oggi c’è il rischio di proseguire sulla stessa strada. Per far fronte al covid-19, la Bce ha lanciato un nuovo programma di acquisto di titoli di stato. Il bilancio dell’Eurosistema è cresciuto. Tuttavia questa imponente iniezione monetaria (700 miliardi in due mesi) non basterà: lo spread, il differenziale dei tassi d’interesse a sfavore dell’Italia, che si era abbassato a metà marzo dopo gli annunci della Bce, è ripartito al rialzo.

Che fare? Innanzitutto prendere coscienza del fatto che l’eurozona resterà fragile finché continuerà a sottoporre i suoi 19 tassi d’interesse alla speculazione dei mercati. Bisogna dotarsi di strumenti per emettere un debito comune, con un unico tasso d’interesse. Contrariamente a quanto si sente dire, l’obiettivo è mutualizzare il tasso d’interesse e non obbligare alcuni paesi a rimborsare il debito degli altri. I paesi che si dichiarano più all’avanguardia su questo tema (Francia, Italia e Spagna) devono formulare una proposta precisa, che comprenda un’assemblea parlamentare che supervisioni il sistema. La Germania, sollecitata dalla corte costituzionale a chiarire la sua relazione con l’Europa, in quel caso deciderebbe sicuramente di partecipare. A ogni modo, vista la gravità della situazione, non si può stare con le mani in mano in attesa di un’unanimità che non arriverà. La proposta annunciata il 18 maggio da Francia e Germania, che prevede emissioni di debito comune per aiutare i paesi in crisi, è un inizio, ma non è abbastanza. A partire dalla cifra: 500 miliardi di euro sono meno del 4 per cento del pil dell’Unione, sarebbe necessario almeno il doppio.

Inoltre dobbiamo fare in modo che l’emissione di moneta serva a finanziare il rilancio ecologico e sociale europeo, e non a gonfiare il valore azionario come è successo fino a oggi. Il governo spagnolo ha proposto di emettere tra i mille e i 1.500 miliardi di euro di debito comune (circa il dieci per cento del pil dell’eurozona), e che questo debito senza interesse sia iscritto nel bilancio della Bce a lunghissimo termine. A questo proposito ricordiamo che il debito esterno tedesco fu congelato nel 1953 (e definitivamente soppresso nel 1991) e che il resto dell’immenso debito del dopoguerra fu estinto con un prelievo eccezionale sui patrimoni finanziari più grandi (un’altra misura che sarà necessario adottare). La proposta spagnola deve essere sostenuta, e se necessario ripresentata, finché l’inflazione resterà moderata.

È impossibile mettere insieme grandi somme di denaro senza ricorrere al prestito. Chi a Bruxelles evoca cifre da capogiro a proposito del green deal senza spiegare da dove arriverebbero i finanziamenti non fa della buona politica. Per definizione quelli che lo fanno riciclano somme già promesse altrove (per esempio sottraendo risorse al magro bilancio dell’Unione), conteggiano più volte le stesse spese, sommano i sostegni pubblici e privati (per la gioia degli speculatori), il più delle volte tutte queste cose insieme.

Tali pratiche devono finire. L’Europa, se non mostra ai suoi cittadini che è capace di mobilitarsi di fronte al covid-19 almeno quanto si è mobilitata per le sue banche, corre un rischio mortale.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è uscito sul numero 1359 di Internazionale. Compra questo numero|Abbonati

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