21 luglio 2011 00:00

Nelle scorse settimane 22 senatori-avvocati della maggioranza hanno inviato al presidente del senato Renato Schifani una sconcertante lettera in cui si dicevano pronti a non votare la manovra finanziaria, rischiando di gettare il paese in una catastrofica crisi finanziaria. Per quale ragione? La manovra prevedeva alcuni interventi di liberalizzazione delle professioni: dall’abolizione del divieto di incompatibilità tra attività commerciale e professionale all’impossibilità di vietare da parte degli ordini la pubblicità per ragioni di decoro, fino all’abolizione dell’esame di stato per avvocati e commercialisti. I senatori erano sostenuti da un gruppo di deputati liberi professionisti (44 avvocati, 13 medici e un notaio) che si sarebbero opposti alla manovra anche alla camera.

L’aspetto più significativo è che i 22 rivoltosi non hanno espresso perplessità sulle modalità della liberalizzazione, ma hanno semplicemente chiesto di derubricare l’argomento e sono stati accontentati. La liberalizzazione delle professioni è una di quelle riforme a costo zero che darebbero ossigeno a un paese allo stremo. Secondo uno studio della Banca d’Italia, potrebbe contribuire fino all’11 per cento del pil nel lungo periodo. La liberalizzazione darebbe anche un messaggio rassicurante ai mercati. Invece non è cambiato niente a causa di parlamentari in chiaro conflitto d’interessi. Ma come si può pensare di convincere i mercati che l’Italia sarà solvibile e manterrà gli impegni assunti con questa manovra, se la nostra politica continua a mostrarsi così debole?

Internazionale, numero 907, 22 luglio 2011

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