Con ottobre arriva la nostalgia, sempre. Le foglie che cadono e le luci che si accendono sempre più presto mi portano di colpo indietro, per le strade buie e desolate della città dove ho fatto l’università.

Risento il morso pungente del vento che arrivava dritto dalla Russia, o almeno così credevamo, e rivedo i miei piedi nudi dentro le vecchie scarpe con i tacchi a spillo, sformate dall’uso. Sono nella mia stanza e ascolto Rickie Lee Jones, fumo una sigaretta al mentolo fingendo che mi piaccia, guardo dalla finestra al di là del parcheggio, mentre aspetto sperando che succeda qualcosa.

Ma è un bizzarro tipo di nostalgia. Non mi sento come se avessi di nuovo 19 anni, ma come se aspettassi di nuovo qualcosa che verrà. Il mio orologio interno si è ormai sincronizzato con i trimestri scolastici, e per me l’anno comincia in autunno, non a gennaio.

Intorno a me la natura esprime la sua idea di fine – appassisce, decade e si spoglia – ma nella mia mente si muove qualcosa di nuovo.

Credevo di essere la sola a sentirmi così, ma pochi anni fa è uscito il singolo degli Stornoway, Zorbing. Quando ho ascoltato i versi con cui si apre il pezzo ho pensato di averli scritti io e di essermelo dimenticato: “I semi dell’ippocastano luccicano per terra / l’aria è più fredda / e mi sento come se avessi appena cominciato l’università…”.

Sono giovani, e probabilmente i loro ricordi sono recenti, ma se mi somigliano anche solo un po’ scopriranno che questo è solo l’inizio di un lungo, interminabile ciclo, e che quei sentimenti torneranno ancora, come torna la pioggia, all’infinito.

E non è solo un’impressione mia, certo. Prendete Il grande Gatsby, per esempio. Replicando al pessimismo di Daisy riguardo al futuro, Jordan dice: “Non essere morbosa… La vita ricomincia quando rinfresca in autunno”.

Per me ha continuato a rinfrescare in autunno anche dopo che ho lasciato l’università. Si potrebbe pensare che la musica pop segua strade proprie, ma di solito le uscite degli album e le tournée sono programmate in modo da coincidere con l’inizio del trimestre autunnale, perché si presume che il tuo pubblico – studenti! – sia alla ricerca di concerti a cui andare e di canzoni per sognare a occhi aperti nella solitudine della stanzetta del dormitorio; e che abbia ancora qualche soldo della borsa di studio da spendere in dischi e biglietti.

E così, al ricordo di quando ho lasciato la mia famiglia in ottobre per andare all’università, si aggiungono quelli successivi: il pullman per andare in tour e i preparativi per suonare i pezzi di un nuovo album davanti a un pubblico di ragazzi disorientati che hanno appena lasciato la loro, di famiglia.

Le città universitarie di Aberystwyth e Manchester, Exeter e Hull – dove solo un anno prima mettevo da parte i soldi per comprarmi The madwoman in the attic, e bevevo vodka e granatina nel bar del campus – erano diventate il teatro della mia carriera adulta. Un altro nuovo inizio, un cambiamento drastico che coincideva con l’arrivo improvviso del freddo.

Forse è proprio il calo della temperatura a rinvigorire. Se il calore estivo è fatto per oziare, le mattine fredde richiedono più attivismo. E le giornate che si accorciano sono compensate dalle serate che si allungano, nelle ore in cui i giovani sono più svegli.

Quando ripenso a quei tempi, faccio fatica a vedermi di giorno: ho come l’impressione che viaggiassimo sempre al crepuscolo, che le strade fossero sempre illuminate e che avessimo di fronte a noi tutta la notte, oltre che la vita.

È anche il periodo dell’anno in cui ho conosciuto Ben, ecco perché sono così malinconica. Già, e perché no? Sono passati 33 anni, e tutti i miei primi ricordi di noi due sono autunnali: con le foglie fino alle caviglie, una sola sciarpa in due, i baci con il cappotto addosso, davanti a una stufa a gas. Per una ragione o per l’altra, i primi fiori che mi ha regalato erano tulipani rossi, presi fuori della loro stagione naturale.

Li ho messi in una bottiglia vuota sul davanzale della mia finestra, e ce li ho lasciati per un sacco di tempo, anche dopo che i petali erano caduti e si erano seccati, e i gambi si erano incurvati come rampicanti, in cerca di un po’ di pallida luce del nord.

Non volevo buttarli via; nessuno mi aveva mai regalato dei fiori, prima. Tipico di Ben comprare fiori primaverili in ottobre, sempre un po’ controcorrente.

Tengo ciotole piene di semi di ippocastano sotto il letto, ora, per tenere lontani i ragni.

(Traduzione di Diana Corsini)

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