26 luglio 2012 09:00

In Niger le campagne per scolarizzare l’infanzia hanno girato a vuoto finché un’operatrice non ha scoperto che i bambini sono forniti di libri e quaderni, ma c’è solo una matita ogni trenta alunni. Trascurare dettagli come questo spesso fa fallire i piani di alfabetizzazione. La World literacy foundation, crea­ta da privati nel 2003 con sede a Melbourne, ha tenuto a Oxford (dal 1 al 4 aprile) il primo World literacy summit.

Obiettivo: raccogliere non gli esperti di chiara fama delle organizzazioni internazionali, ma la miriade di piccole sentinelle impegnate sul campo nella lotta all’analfabetismo nei singoli paesi. Ai partecipanti al summit la questione finanziaria non è apparsa centrale tanto quanto l’individuare i punti di debolezza e forza delle iniziative in corso. E per far questo occorre analizzare da presso che cosa succede o non succede.

Dall’analisi delle esperienze concrete sono venute anche indicazioni generali. Gli organizzatori hanno proposto ai partecipanti una

declaration. Vi si definiva l’alfabetismo come capacità di lettura, scrittura, computo ed espressione orale. I partecipanti l’hanno modificata e hanno aggiunto come abilità minime “visual communication, digital technology, critical thinking, speaking and listening”. Ciò viene incontro a chi sostiene da tempo che anche la prima educazione al linguaggio richiede un orizzonte semiotico ed esige oggi il controllo del digitale e, più che mai, lo sviluppo delle capacità d’ascolto e di pensiero critico.

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