02 marzo 2017 16:49

Il pubblico riunito al teatro Largo di Los Angeles la sera del 3 agosto 2012 è convinto di stare per assistere a un normale spettacolo comico: l’appuntamento mensile con l’attrice Tig Notaro, ospite fissa del locale. Lei invece esordisce così: “Buonasera, ho il cancro. Che bella sensazione”. E comincia un monologo dove ricostruisce la tempesta di sfortuna che l’ha investita nell’arco degli ultimi quattro mesi. È finita in ospedale più volte per un’infezione batterica all’intestino, le è morta di colpo la madre per le conseguenze di una banale caduta in casa, è finita – ovviamente – la relazione sentimentale con la sua ultima ragazza, e al momento di andare in scena le è appena stato diagnosticato un doppio tumore al seno.

Notaro dice che si curerà, ma si chiede quale logica ci possa essere dietro tante sciagure precipitate addosso a una persona che fino a quel momento era soddisfatta di come le stava andando la vita. “Un proverbio dice che Dio non ti dà mai più preoccupazioni di quante tu ne possa sopportare. Io immagino Dio che mi guarda e dice, no, questa secondo me può sopportarne ancora un po’. E gli angeli intorno a lui dicono: ‘Dio, cosa stai facendo? Sei fuori di testa?’”.

Nelle intenzioni, si tratta di una performance irripetibile, destinata a lasciare traccia soltanto nella memoria degli spettatori. Invece tra il pubblico sono sedute diverse persone famose, come Louis C. K., che cominciano a raccontare cos’hanno sentito: salta fuori una registrazione audio della serata, che diventa il comedy album più venduto del 2012, con il titolo Live. Tig Notaro smette di essere un personaggio di nicchia, un talento per intenditori ancora poco noto al grande pubblico, e diventa una celebrità. Viene abbracciata da chi vede in lei un esempio di resilienza, un’artista coraggiosa che usa l’umorismo per sopravvivere. Presto arrivano un documentario (Tig), un libro nonfiction (I’m just a person), una serie tv prodotta da Amazon, One Mississippi, ispirata alla sua vicenda personale. È sempre la stessa storia, in fondo. O forse no.

L’infelicità dei singoli
One Mississippi appartiene a un filone televisivo che in base a una scelta lessicale infelice viene chiamato trauma-dy, “commedia del trauma”, o sadcom: gli autori costruiscono personaggi ispirati a se stessi con l’obiettivo di portare in scena la peggiore versione possibile della loro realtà individuale. Abbiamo quindi un esercito di uomini e donne alle prese con la malattia mentale, il lutto, le difficoltà in famiglia, il crescente senso di inadeguatezza.

Quello che succede al resto del mondo non entra quasi mai in scena. A trionfare è l’infelicità dei singoli. L’obiettivo, in teoria, sarebbe far ridere a denti stretti. Molto più spesso, però, non si ride affatto. Viene da chiedersi se il sostantivo “commedia” non venga applicato a questi racconti soltanto per prendere le distanze da certi eccessi formali del dramma, o perché il protagonista ha recitato in qualche film comico. Intanto l’effetto collaterale, per chi guarda, è la trasformazione dei consumi culturali in un bollettino delle valanghe: “A che punto sei con la bipolare? E con i depressi? E l’ex alcolizzato narcisista?”.

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Certo, esistono ancora le sitcom tradizionali, quelle con moglie e marito che bisticciano e fanno la pace a fine puntata. Ma non catturano più l’attenzione, non sono più un traguardo ambito. Non sono quelle di cui tutti parlano. Parafrasando Marc Maron, conduttore di un podcast e interprete di una sadcom ricalcata sulle sue disavventure da depresso furioso: se una volta il sogno di ogni comico era diventare la star di una serie tv qualsiasi, incentrata su un uomo qualsiasi, oggi si sogna di venire accettati per come si è veramente, e per farlo si mettono in mostra le proprie debolezze, selezionate con relativa cura.

Come si fa a restare fedeli alla realtà senza bastonare troppo lo spettatore?

Torniamo un attimo allo spettacolo. Subito dopo la morte della signora Notaro, nella casa in cui lei abitava con il marito è arrivato da parte dell’ospedale un questionario di valutazione, indirizzato alla defunta. La figlia lo legge a voce alta sul palco. “Ospedale – dice – un piccolo consiglio? Smettetela di mandare questionari ai morti. Fate due liste: i vivi e i morti”. Tig racconta di aver preso appunti per il monologo senza fermarsi a pensare a come sarebbe stato accolto.

Si è esposta con incoscienza, perché ha dato in pasto tutta se stessa a un pubblico che poteva benissimo rifiutarla. Per altri versi, correre il rischio è una strana forma di protezione: l’istinto di autoconservazione viene messo a tacere e l’uso del tempo presente come fonte di materiale trasmette un senso di urgenza che verrebbe a mancare altrimenti. E questo è un lusso irripetibile.

Chi ascolta oggi Live su Spotify può restare perfino deluso, anche se gli resta la curiosità di sapere com’è andata avanti, e cos’ha fatto l’artista dopo essersi messa in gioco in quella maniera. Mentre chi si mette a guardare una tra le tante sadcom in circolazione, magari attratto dai rimandi alla vita personale dell’autore, magari desideroso di ritrovare una parte di sé nella storiaccia di qualcun altro, non è detto che si riveli disponibile a seguire sei (o tredici, o ventisei) episodi di una storia dove il protagonista sta sempre da cani, nessun segno di evoluzione in vista. Allora come si fa a restare fedeli alla realtà senza bastonare troppo lo spettatore?

Nel caso specifico di One Mississippi, Tig Notaro e il suo annus horribilis sono stati rielaborati in un racconto televisivo semplicissimo da seguire. Una donna torna in provincia per il funerale della madre: cerca di gestire la sua salute traballante; soprattutto, rivisita i segreti di famiglia, uno dei quali la riguarda da vicino. Si ride? Si ridacchia, a tratti. Si resta a bocca aperta davanti a sequenze di un umorismo talmente nero da sembrare una sfida alla sopportazione. Ma Tig prende corpo in una maniera che non sarebbe facile prevedere sulla carta.

Un piccolo romanzo di formazione
Se il materiale di partenza poteva creare un eccesso di empatia nei confronti della narratrice, la decisione presa nel corso della sceneggiatura è stata di “sporcare” la protagonista, mettendone in risalto alcuni difetti umani e molto credibili: la fretta con cui giudica chi non conosce, la scarsa empatia che prova di fronte alla sofferenza altrui, occupata com’è a non smaltire la sua. Tratti caratteriali che una storia convenzionale attribuirebbe al cattivo della situazione e che One Mississippi affibbia al personaggio tramite cui dobbiamo scoprire un mondo intero.

Sembra quasi una risposta a quelli, non pochi, che si sono affezionati all’attrice per via del cancro, e che vanno a vederla dal vivo per ringraziarla di aver condiviso i suoi problemi. E magari c’è più “vera” Tig Notaro in questa sua versione pessimista e amareggiata, brava a vendersi quando si tratta di andare in scena (nella serie è una conduttrice radiofonica specializzata in aneddoti personali), ma incapace di risanare alcune vecchie ferite. Quando non funziona, una sadcom si accartoccia sul disagio dei protagonisti; quando funziona, diventa un piccolo romanzo di formazione contemporaneo, dove nessuno impara la lezione a tempo debito, e l’eventuale maturità arriva dopo una perdita affrontata senza avere gli strumenti adatti.

Nella vita reale, a Tig Notaro sono stati asportati entrambi i seni. Lei ha scelto di non farseli ricostruire. Ha sfoggiato il petto nudo durante uno spettacolo, Boyish girl interrupted, forse per rispondere a una provocazione del pubblico, forse per vedere cosa sarebbe successo se avesse messo gli spettatori di fronte alla sua realtà quotidiana. La sua controparte televisiva si è sottoposta allo stesso intervento, ma se ne vergogna: non vuole spogliarsi in presenza della fidanzata, perché non ha ancora avuto il coraggio di guardarsi lei dopo l’operazione. Il momento in cui arriva a prendere atto delle sue cicatrici, mettendosi davanti a uno specchio con gli occhi bene aperti, è il momento in cui comincia a manifestarsi la possibilità di un cambiamento. Non in lei, ma in noi.

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