22 aprile 2021 17:20

A piazza del Popolo il 17 aprile migliaia di lavoratori dello spettacolo hanno manifestato al grido: “Governo, ora ci vedi?”, portando in piazza mille bauli in cui sono raccolti di solito gli strumenti di scena. La manifestazione è stata organizzata da diverse sigle a sei mesi dal primo flash mob dello stesso tipo, avvenuto a Milano.

Nelle stesse ore della manifestazione di piazza del Popolo, proprio mentre il governo Draghi annunciava le riaperture di fine aprile, veniva occupato il Globe Theatre di Roma, una struttura all’aperto nel cuore di villa Borghese, in cui le maestranze dello spettacolo hanno organizzato cinque giorni d’incontri e discussioni a cui hanno partecipato migliaia di persone, per chiedere al governo di prendersi carico dei costi di più di un anno di chiusura di teatri, cinema, spettacoli e concerti dal vivo, ma anche di cambiare approccio rispetto alla cultura, in un anno che ha mostrato tutti i problemi strutturali del sistema di produzione dei contenuti culturali: dal precariato estremo dei lavoratori dello spettacolo alla mancanza di finanziamenti e di progetti di lungo corso. “A noi gli occhi, please”, era scritto sullo striscione srotolato sul palcoscenico del teatro romano, parafrasando un vecchio spettacolo di Gigi Proietti, ideatore e direttore del Globe.

Ilenia Caleo, attrice, autrice e ricercatrice all’università di Venezia, è stata tra le promotrici dell’occupazione romana, che è durata solo cinque giorni perché “non vogliamo consumare tutte le nostre energie nella protesta, ci sembra che anche la lotta debba essere sostenibile in questa situazione di pandemia e volevamo non solo chiedere sussidi e assistenza al governo, ma soprattutto fare proposte, immaginare come potrebbe essere il futuro di questo settore a partire da questa crisi”. Caleo spiega che le mobilitazioni vanno avanti da un anno: “In queste settimane in Francia sono stati occupati un centinaio di teatri, anche se la situazione francese è molto diversa. Così come sono stati occupati due teatri a Napoli e a Milano”.

I lavoratori dello spettacolo hanno scelto di occupare il Globe anche per la consapevolezza che gli spazi al chiuso sono più pericolosi per il contagio: “Abbiamo scelto il Globe perché ci sembrava che ci tutelasse un po’ di più, questo anno di pandemia ci ha cambiati e non possiamo ignorare che anche manifestare e vedersi per discutere può rappresentare un pericolo, manifestare diventa quasi un’azione paradossale: si chiamano a raccolta corpi, che poi non possono stare vicini. Ma allo stesso tempo volevamo dare l’idea che non ci saremmo chiusi tra di noi a discutere. Non vogliamo che le nostre rivendicazioni siano solo quelle della nostra categoria, vogliamo aprirci anche ad altri settori che condividono i nostri problemi e in generale alla città. Il Globe è uno spazio aperto che ci ha consentito tutto questo. Già il nome, Globe, fa pensare al mondo: l’idea era quella di rifare il mondo, con lo slogan ‘Remake the globe’”.

Il covid ha fatto emergere le contraddizioni di un settore in cui il lavoro è estremamente precario, intermittente, autonomo, in nero

Le questioni che sono emerse dall’assemblea sono state diverse: “Il covid ci ha precipitato in un’emergenza estrema, ma ha fatto emergere le contraddizioni di un settore in cui il lavoro è estremamente precario, intermittente, autonomo, in nero, sommerso, con mille definizioni. Basti pensare che è soggetto a sette tipologie contrattuali diverse. Questo significa che è possibile lavorare nello stesso ambiente avendo diritti diversi. I contratti sono in scadenza e da questo punto di vista ci sono delle rivendicazioni sindacali precise, in un settore che è tuttavia ancora molto poco sindacalizzato”. Un’altra richiesta è un reddito di base di continuità, come avviene per esempio in Francia con lo statuto di intermittenza.

“L’idea è in generale, al di là dell’emergenza sanitaria, di pensare a una riforma del lavoro autonomo e precario per i lavoratori della cultura e dell’arte”, continua Caleo. I lavoratori chiedono cioè che sia possibile accedere a una forma di reddito nei momenti di pausa, che al di là della pandemia sono strutturali per la tipologia di lavoro. “Il reddito di intermittenza ce lo immaginiamo come estendibile ad altre categorie di precari anche in altri settori, pensiamo all’editoria, alla ricerca, alla comunicazione. In Francia il reddito di intermittenza è stato istituito nel dopoguerra proprio per tutelare i lavoratori dello spettacolo dal vivo, che sono appunto precari e discontinui, ma poi si è esteso ad altre tipologie di lavoratori”, spiega. “Il lavoro artistico non è un’eccezione, noi stesse spesso sperimentiamo nella nostra vita diverse forme di precarietà, perché magari per mantenerci come attrici o autrici dobbiamo fare secondi lavori, che vanno dall’insegnamento alla ricerca, fino alla barista o la cameriera. Lavori che spesso hanno le stesse caratteristiche di precarietà del nostro”.

L’ultimo punto sollevato dai lavoratori dello spettacolo è la riforma strutturale del sistema dei finanziamenti per lo spettacolo, in particolare del Fondo unico per lo spettacolo (Fus), da dove passano i finanziamenti pubblici: “Siamo di fronte a un cambiamento storico rispetto agli anni 2010, quando abbiamo fatto delle battaglie contro i tagli e ci siamo trovati di fronte a delle politiche di austerità. Mentre ora per la prima volta in dieci anni è cambiato il discorso pubblico: dall’Europa per la prima volta arriveranno ingenti risorse, ma come saranno spese? Una possibilità è che i fondi vadano solo alle aziende, l’altra ipotesi è che siano socializzate, finanziando direttamente i progetti e i lavoratori stessi”.

Per Caleo dunque le questioni sul tavolo sono diverse e non hanno a che fare solo con l’imminente riapertura o con il sostegno a chi non ha lavorato per un anno a causa della crisi: si tratterebbe proprio di immaginare un nuovo sistema produttivo. “I lavoratori dello spettacolo non vogliono aperture a tutti i costi, vogliamo che le riaperture siano fatte in sicurezza, anche perché i nostri corpi sono molto esposti al contagio”.

Dopo le manifestazioni del weekend, c’è stata una risposta delle istituzioni: sono arrivati al Globe i rappresentanti del Teatro di Roma, l’assessora alla cultura del comune di Roma e il ministro della cultura Enrico Franceschini. Proprio il ministro ha accettato d’istituire un tavolo interministeriale tra lavoratori dello spettacolo, ministero della cultura e ministero del lavoro che nelle prossime settimane avrà molte questioni di cui occuparsi.

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