Lo scorso dicembre nei Quartieri spagnoli, a Napoli, lo street artist Blu ha realizzato una serie di murales dedicati alla memoria di Ugo Russo, un ragazzo di quindici anni ucciso nella notte tra il 29 febbraio e il 1 marzo 2020. Quella notte Russo aveva provato a rapinare un carabiniere fuori servizio, minacciandolo con una pistola giocattolo. L’agente è ora sotto processo per omicidio volontario pluriaggravato, accusato di aver sparato quando il ragazzo stava già fuggendo.

Come ha sottolineato il Comitato verità e giustizia per Ugo Russo, l’opera di Blu è una riflessione sui ragazzi che appena adolescenti sentono già di non avere nessun posto in una società che si ricorda di loro solo quando diventano un problema di ordine pubblico. A poche ore dalla realizzazione del murale, gli agenti della polizia municipale hanno fatto un sopralluogo, stabilendo che non era autorizzato e che per questo andava rimosso. La stessa sorte era toccata nel 2023 a un’altra opera di street art, sempre dedicata a Russo. Tra chi ha cavalcato la polemica c’è il deputato di Alleanza Verdi e Sinistra, Francesco Emilio Borrelli. “Si continuano a mitizzare i criminali creando una società con valori distorti”, ha scritto, sottolineando che “Ugo Russo era un rapinatore”.

Negli ultimi anni l’approccio delle istituzioni davanti a storie come quella di Russo è sempre stato lo stesso: la repressione. La prevenzione è lasciata invece nelle mani di poche associazioni e comitati di quartiere. Ma a Napoli nel frattempo si continua a sparare, e altri giovani muoiono.

La strage di giovani

Il 24 ottobre 2024 nel centro storico di Napoli c’è stata una sparatoria che ha coinvolto una ventina di ragazzi, tra cui molti minorenni. Segni di proiettili sono stati rinvenuti per centinaia di metri. Lo scontro è costato la vita a Emanuele Tufano, 15 anni, colpito alla schiena dagli spari mentre fuggiva in motorino. Il 2 novembre, a San Sebastiano al Vesuvio – sempre nel napoletano – è scoppiata una lite tra due gruppi di giovani. Santo Romano, 19 anni, è intervenuto per fermare la rissa ed è stato ucciso da un colpo di pistola al petto.

A sparare è stato un diciassettenne del quartiere di Barra, una delle aree più difficili dell’hinterland del capoluogo campano. Il 9 novembre, nel centro storico di Napoli, un proiettile ha colpito alla testa e ucciso Arcangelo Correra, 18 anni. Il cugino Renato Caiafa, 19 anni, avrebbe sparato in quello che è stato descritto come un gioco finito male.

In appena 17 giorni, tra la fine di ottobre e l’inizio di novembre del 2024, a Napoli sono stati uccisi tre ragazzi. Non è stata un’esplosione improvvisa di violenza tra giovani del territorio, ma l’aggravarsi di una tendenza che si registra da tempo. Qualche mese prima, ad agosto, a Pianura era morto Gennaro Ramondino, vent’anni, ucciso a colpi di pistola da un ragazzo di 16. L’anno precedente era toccato a Giovanbattista Cutolo, 24 anni, ucciso nel centro di Napoli durante una lite . E poi Francesco Pio Maimone, 18 anni, ucciso in una sparatoria in seguito a una rissa a Mergellina nel marzo 2023.

Nel 2023 c’è stato un aumento del 17 per cento dei reati commessi da minori nel distretto giudiziario di Napoli. L’anno scorso, i reati gravi compiuti da minorenni sono aumentati ancora e le misure cautelari sono raddoppiate. Tra gli elementi più critici c’è il possesso di armi tra i giovani. Come ha sottolineato la procuratrice del tribunale per i minorenni di Napoli, Patrizia Imperato, tra l’estate del 2023 e quella del 2024 sono stati registrati 409 procedimenti penali per possesso di armi proprie e improprie e 61 per possesso di armi da fuoco.

Armi e violenza

A luglio del 2024, nel nord di Napoli, un ragazzo di vent’anni è stato raggiunto da un colpo di pistola all’addome mentre andava in motorino. Dopo un ricovero d’urgenza è stato dichiarato fuori pericolo e per l’attacco è stato arrestato un ragazzo di 14 anni. Questo avrebbe agito per conto di un boss di una decina d’anni più grande di lui, all’interno di un regolamento di conti tra clan per il controllo del territorio.

“Spesso i clan scelgono di far commettere reati ai giovani perché rischiano pene più lievi. Si affiliano ragazzi molto giovani, si addestrano e si allevano, mettendogli in mano le armi”, spiega Mariano Di Palma, coordinatore per la Campania della rete di associazioni contro le mafie Libera. Ne parlava già negli anni ottanta il giornalista Giancarlo Siani, prima di venire ucciso dalla Camorra. Li chiamava muschilli, erano ragazzini, a volte di dodici anni, non imputabili, al servizio dei clan.

Il feretro di Emanuele Tufano esce dalla basilica di Santa Maria della sanità, a Napoli, 31 ottobre 2024. (Manuel Dorati)

La larga circolazione di armi tra i giovani napoletani si deve anche al fatto che “all’interno dei quartieri popolari, in numerose famiglie, le armi sono da generazioni un elemento comune. E si tramandano”, continua Di Palma. Poi ci sono quelle che arrivano con i traffici internazionali. Nel 2020 a Sant’Antimo, in provincia di Napoli, le forze dell’ordine hanno scoperto un arsenale che comprendeva anche razzi e altro materiale bellico di fabbricazione jugoslava. “Le armi spesso si acquistano all’interno delle stesse piazze di spaccio della droga. Non sono prodotte dalla camorra, che al contrario le compra per le sue attività e poi le rivende”, continua Di Palma. “Spesso sono frutto del riciclaggio di armi usate in zone di conflitto. A Napoli gira roba che arriva dalla guerra in Kosovo, per esempio, ma anche la rotta mediterranea dal Maghreb è molto attiva”.

Infine ci sono le armi giocattolo modificate. Lo scorso novembre a Sant’Anastasia, in provincia di Napoli, è stato scoperto un laboratorio clandestino specializzato nella modifica di pistole finte. Due uomini sono stati arrestati. “È una nuova tendenza, un fenomeno in crescita ma non maggioritario”, sottolinea Di Palma. Se si guarda ai tre morti tra ottobre e novembre, nessuno in realtà ha avuto a che fare con questo tipo di armi, anche se il dibattito sui mezzi d’informazione si è concentrato proprio sul tema delle pistole giocattolo. “Bisogna fare attenzione a non cadere negli stereotipi e nella banalizzazione: le pistole giocattolo e più in generale la circolazione delle armi sono solo una parte del problema”, continua Di Palma.

Gli effetti della turistificazione

La strage dei tre ragazzi tra ottobre e novembre scorso ha scosso un po’ tutti a Napoli, compresi gli operatori del turismo. “Abbiamo ricevuto decine di segnalazioni di gestori e ospiti, alcuni hanno comunicato di voler lasciare le strutture del centro storico. Auspichiamo una maggiore azione di monitoraggio e controllo sul territorio, soprattutto nelle ore serali”, ha dichiarato Agostino Ingenito, presidente dell’associazione dei bed and breakfast, affittacamere e case vacanze .

Negli ultimi anni a Napoli c’è stato un forte processo di turistificazione, favorito in parte dall’aumento dell’offerta di trasporti a basso costo e in parte da un nuovo modo di raccontare la città , lanciato dalle istituzioni locali e amplificato dai social network.

Il viaggio nel capoluogo campano si è trasformato in un’esperienza fatta di tour immersivi in quartieri popolari un tempo considerati inaccessibili, pellegrinaggi tra i simboli sportivi e alimentari della “napoletanità” e soggiorni nelle abitazioni tipiche, come i bassi, gli appartamenti al piano terra che fino a poco tempo fa nemmeno rispettavano i requisiti dell’abitabilità. Nell’estate del 2024 Napoli ha registrato un aumento di turisti del 25 per cento rispetto all’anno precedente e oggi sulla piattaforma di affitti brevi Airbnb sono disponibili più di undicimila abitazioni. Più di quante ce ne sono a Venezia.

“Napoli è diventata di moda per turisti, modelle e attori nell’era dei social media. Eppure rimane spietata per molti dei suoi giovani”, ha scritto all’inizio di gennaio il giornale statunitense The New York Times. Il tasso di disoccupazione giovanile è al 43 per cento e la dispersione scolastica è a livelli record: tra settembre 2023 e gennaio 2024, almeno 800 alunni non hanno mai frequentato la scuola, settemila sono stati assenti alle lezioni tra il 25 e il 50 per cento delle volte e più di 1.700 hanno superato il 50 per cento di assenze. Secondo i primi dati dell’Istat di quest’anno, la popolazione studentesca dell’area metropolitana di Napoli è quella messa peggio in Italia dal punto di vista educativo, con servizi per la prima infanzia molto scarsi e tassi di incompetenza alfabetica e matematica al di sotto della media del paese .

La turistificazione non ha attenuato questi problemi. Piuttosto, ha aumentato le disuguaglianze. Il boom del mercato degli affitti brevi ha amplificato, per esempio, il problema del diritto alla casa per le fasce sociali più fragili. Gli sfratti esecutivi nel centro storico sono passati dai 1.700 del 2017 ai dodicimila del 2023. Senza casa, senza lavoro, senza educazione, per molti giovani napoletani l’illegalità è diventata una strategia di sopravvivenza più che una scelta consapevole di vita. E la violenza una forma di affermazione sociale.

“Nei quartieri popolari della città continuano a mancare infrastrutture culturali, non c’è un piano di sviluppo che garantisca un lavoro di qualità e stabile, non ci sono mezzi sufficienti dal punto di vista sia del diritto allo studio sia dell’accesso ai consumi culturali per le giovani generazioni”, sottolinea Di Palma. “L’ascesa sociale per alcuni giovani non avviene più attraverso lo studio, il concorso pubblico e l’accesso a un lavoro stabile. L’affermazione di sé passa attraverso la logica di una società in guerra ”.

“Vittime colpevoli”

Nel 2000, un agente di polizia uccise Mario Castellano, 17 anni, dopo che questo aveva forzato un posto di blocco. Nel 2014, Davide Bifolco fu ucciso da un carabiniere in servizio durante un inseguimento nato da uno scambio di persona. Il 4 ottobre 2020, Luigi Caiafa è stato sorpreso da una volante della polizia mentre rapinava un gruppo di ragazzi nel centro storico di Napoli. Aveva in mano una pistola, ma era a salve. Alla vista della volante è scappato, ma uno degli agenti gli ha sparato e lo ha ucciso.

Caiafa – insieme a Ugo Russo – è l’ultimo di una serie di giovani morti per mano delle forze dell’ordine nel napoletano. Suo fratello Renato, 19 anni, ha ucciso lo scorso novembre Arcangelo Correra, l’ultimo dei tre ragazzi morti nel giro di 17 giorni nel napoletano.

Napoli, 27 novembre 2024. Una manifestazione per dire basta alla violenza. Hanno partecipato amici e parenti di Santo Romano. (Manuel Dorati)

Traiettorie diverse di vite ugualmente drammatiche, dove anche chi muore è considerato dalle istituzioni come una “vittima colpevole”. Nei giorni successivi all’uccisione di Luigi Caiafa, il murale in sua memoria nel quartiere popolare di Forcella è stato cancellato da un blitz dei vigili urbani. La stessa sorte toccata al murale dedicato a Ugo Russo, rifatto dall’artista Blu e di nuovo a rischio cancellazione.

A metà novembre, dopo l’uccisione di tre ragazzi in 17 giorni, il ministro dell’interno Matteo Piantedosi ha annunciato in prefettura un piano di sicurezza straordinario per l’area metropolitana di Napoli. La misura prevede l’invio di 479 nuovi operatori delle forze dell’ordine e l’installazione di trecento telecamere. Ogni volta che nel capoluogo campano muore un giovane la soluzione delle istituzioni è sempre la stessa: militarizzare, sorvegliare, reprimere. Era già successo nel 2023, dopo che un gruppo di minorenni al Parco verde di Caivano, in provincia di Napoli, aveva stuprato due ragazze. Il governo aveva risposto con il decreto Caivano, che prevede pene più severe per i reati compiuti dai più giovani. Ne è derivata un’impennata di nuovi ingressi nelle carceri minorili, per lo più in custodia cautelare, soggetti spesso fermati per piccoli reati legati alla droga.

Repressione contro prevenzione

“Non serve un’ulteriore militarizzazione, c’è bisogno di spazi di socialità libera, di occasioni di crescita e formazione. Di questi territori si parla solo per costruire raffigurazioni criminalizzanti”, spiega il Comitato verità e giustizia per Ugo Russo, che alla fine di novembre ha portato duemila persone in piazza a Napoli, tra studenti, associazioni e cittadini. “I decreti Caivano non servono a nulla”, ha sottolineato padre Alex Zanotelli, che dalla sua casa nel rione Sanità è da tempo in prima linea nel sostegno ai giovani marginalizzati. “Servono scuole aperte fino a sera non solo per studiare, ma anche per altre attività. Dobbiamo tirare questi ragazzi fuori dalle strade, altrimenti li perdiamo”.

Di fronte all’approccio repressivo delle istituzioni, i ragazzi possono fare affidamento solo su associazioni, comitati e altre realtà del territorio. Negli ultimi anni, l’associazione Libera ha lanciato diversi programmi nei quartieri popolari, come Present for future a Ponticelli, una delle aree più difficili, che ha coinvolto decine di ragazzi e ragazze segnalati dai servizi sociali. A Materdei, quartiere popolare del centro storico di Napoli, gli attivisti del centro sociale Je so’ pazzo da qualche anno portano invece avanti varie attività per i più giovani, tra cui un doposcuola che coinvolge decine di studenti delle scuole primarie e secondarie.

“Intercettiamo bambini e bambine che rischiano di abbandonare la scuola , provenienti da nuclei familiari molto fragili dal punto di vista economico e con bassissimi livelli di alfabetizzazione”, spiega Sara, tra le attiviste che coordinano le attività. Nel doposcuola si inizia facendo i compiti, poi si prosegue con altre attività come laboratori di disegno, corsi di alimentazione consapevole e visite ai musei , ma anche attività sportive come danza, basket e calcio.

Nel quartiere mancano spazi verdi e iscriversi a palestre e altri corsi è spesso impossibile a causa dei costi. Doposcuola come quelli del centro sociale Je so’ pazzo diventano dunque una valvola di sfogo. “Qui vengono persone con situazioni difficili alle spalle”, conclude Sara. “Se rimanessero fuori da circuiti come il nostro e dalle poche iniziative simili che ci sono nel quartiere, potrebbero finire nei circuiti criminali”.

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