19 marzo 2024 09:08

Dieci anni fa la Russia annetteva la Crimea, che dal 1991 faceva parte dell’Ucraina. Nelle settimane precedenti alcuni “omini verdi” (è così che i giornali avevano chiamato i soldati russi senza mostrine) avevano assunto il controllo della penisola. Era il primo capitolo di quella che due anni fa è diventata una guerra d’invasione di tutta l’Ucraina.

Il 18 marzo Vladimir Putin ha celebrato l’anniversario dell’annessione in concomitanza con la sua rielezione, sancita dall’87 per cento dei voti, un plebiscito. Poco importa se la percentuale rispecchia o meno la realtà del paese. In serata sono arrivate le immagini del leader russo che prendeva la parola sulla piazza Rossa di Mosca, circondato da ragazzi: un grande momento putiniano, che aveva l’aria di una sfida.

In realtà la sfida è cominciata dieci anni fa, quando Putin ha deciso di far pagare all’Ucraina e all’occidente la svolta filoeuropea della rivolta di Maidan del 2013 a Kiev. Il presidente russo si è preso la Crimea e ha osservato le reazioni del mondo: le proteste, le sanzioni simboliche e i commenti in privato con cui i leader occidentali sottolineavano che la Crimea era di fatto russa e che Putin si sarebbe fermato lì. Le cose sono andate diversamente.

Non è un caso che Putin abbia organizzato le elezioni nella stessa data dell’anniversario dell’annessione della Crimea. Tutto, in Russia, è ormai legato alla guerra in Ucraina, compresi i rituali politici. Il messaggio del 18 marzo – giorno della vittoria elettorale e ricorrenza dell’annessione – è chiaro e netto: Mosca non farà un passo indietro.

Putin è stato simbolicamente rilegittimato da una vittoria senza rischi, ma resta da capire cosa ne farà di questo momento di gloria. Probabilmente il presidente intensificherà la sua doppia strategia, militare e psicologica. Entrata in un’economia di guerra, oggi la Russia sfrutta il vantaggio delle sue dimensioni e di un’economia e un potere centralizzati, in un momento in cui l’Europa non è ancora entrata in questa logica e non riesce ad assicurare a Kiev l’assistenza militare di cui ha bisogno.

Ma è soprattutto nel campo della guerra psicologica che Putin può ancora sorprenderci. Nel discorso pronunciato per celebrare la sua vittoria, il presidente ha inserito una frase che lascia intravedere gli sviluppi futuri, suggerendo che Parigi potrebbe ricoprire un ruolo nel negoziato di pace con l’Ucraina.

Questa dichiarazione, tutt’altro che un’apertura alla pace, è un modo per sfruttare i dibattiti interni in Francia. Putin, infatti, sa bene che nel panorama politico francese ci sono forze che spingono per un negoziato con Mosca. Il fatto che nella sostanza le condizioni per trattare non esistano è poco rilevante: l’importante è alimentare il dibattito, lasciando intendere che sia possibile.

Alcuni leader europei stanno perfino valutando l’ipotesi che la Russia voglia accettare un cessate il fuoco per poi riprendere la guerra con maggiore intensità, approfittando di un pretesto qualsiasi e cercando di conquistare Odessa, il porto conteso sul mar Nero.

Siamo molto lontani dalla pace, anche perché Putin prende tempo in vista delle elezioni presidenziali statunitensi del prossimo 5 novembre, in cui una vittoria di Donald Trump cambierebbe definitivamente gli scenari, indebolendo la Nato. La lezione che possiamo trarre dall’annessione della Crimea è che il capo del Cremlino diventa più forte quando i suoi avversari si indeboliscono.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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