13 settembre 2019 17:11

Nel 2016 il rapporto del Comitato per la protezione dei giornalisti (Cpj) segnalava che in Etiopia c’erano sedici reporter e blogger in carcere. I giornalisti vivevano nella paura e nella repressione. L’autocensura era la norma. Lo stesso anno i social network furono bloccati in gran parte del paese. Guardare le tv satellitari della diaspora era vietato a causa dello stato d’emergenza proclamato per mettere fine all’ondata di proteste che scuoteva il paese. Tuttavia la pressione dei manifestanti spinse il partito al potere ad avviare delle rifome e a cambiare leadership. A guidare la trasformazione fu chiamato Abiy Ahmed. Niente descrive meglio i cambiamenti avvenuti da allora come il rapporto del Cpj del dicembre del 2018. “Per la prima volta dal 2004 nessun giornalista è stato incarcerato per il suo lavoro in Etiopia”, si legge nel rapporto.

Tra il febbraio e l’aprile di quell’anno tutti i giornalisti e i blogger in prigione, tra cui Eskinder Nega e Woubshet Taye, sono stati liberati. A giugno il governo ha deciso di sbloccare 264 siti internet. Le tv satellitari della diaspora hanno potuto aprire sedi in Etiopia.

La promessa più importante del governo è stata abolire le leggi repressive che imbavagliavano i mezzi d’informazione. Da allora, anche se le leggi non sono state ancora riviste, è nata una stampa libera. Decine di nuovi mezzi d’informazione sono stati autorizzati a pubblicare. Sono nati quattro nuovi quotidiani e dieci periodici. Tuttavia non mancano le sfide. C’è chi accusa i giornalisti di non avere un’etica e di non essere professionali. Molti sono preoccupati che la mancanza di una cultura giornalistica alimenti il caos politico e i conflitti tra i vari gruppi sociali. A febbraio Abiy ha addirittura dichiarato che “in Etiopia non ci sono mezzi d’informazione sani”. Queste affermazioni fanno temere che il governo trovi nuove giustificazioni per chiudere nuovamente quello spazio di libertà che si è aperto nell’ultimo anno.

(Traduzione di Francesca Sibani)

BefeQadu Z. Hailu è uno scrittore, blogger e attivista etiope. Questo testo è un estratto di un articolo pubblicato sul sito dell’International observatory of human rights. Sarà a Ferrara per il festival di Internazionale (dal 4 al 6 ottobre) per un incontro con il giornalista Te’amrat Giorgis Gebremariam e William Davison dell’International crisis group.

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