10 febbraio 2018 13:16

Kendrick Lamar, Opps (feat. Vince Staples and Yugen Blakrok)
La settimana prossima uscirà al cinema Black Panther, il film dedicato al personaggio dei fumetti della Marvel Pantera Nera, che esordì nel 1966 in un albo dei Fantastici Quattro e fu il primo supereroe nero del fumetto popolare statunitense. Pantera Nera è l’alter ego di T’Challa, sovrano di Wakanda, un paese africano immaginario che sotto un’apparente povertà nasconde una realtà tecnologicamente avanzata. Le prime recensioni della stampa americana sono entusiaste: sembra che Black panther non sia il solito film Marvel, ma qualcosa di più complesso e divertente. C’è chi ha apprezzato il suo afrofuturismo, chi la sua importanza simbolica e politica.

Uno dei punti di forza del film, che a questo punto mi incuriosisce parecchio, è la colonna sonora, che è stata curata da Kendrick Lamar e dal discografico Anthony “Top Dawg” Tiffith. Black Panther. The album è pieno di ospiti importanti, con alcuni tra i rapper e cantanti rnb più famosi in circolazione: Travis Scott, The Weeknd, Anderson Paak, Sza e non solo. Tra i pezzi più convincenti, oltre al singolo (molto) pop All the stars, c’è Opps, che è decisamente più aggressiva. A rappare insieme a Lamar ci sono Vince Staples e la sudafricana Yugen Blakrok.

Black panther. The album non è all’altezza degli altri dischi di Lamar. Si capisce che stavolta il rapper di Compton non si è sparato le cartucce migliori e ha preferito puntare sulle ospitate. Ma è un interessante diversivo all’interno della sua discografia.

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Stephen Malkmus and The Jicks, Middle America
C’è un bellissimo film su Bob Dylan, Io non sono qui di Todd Haynes, che mi capita di citare spesso quando scrivo del cantautore di Duluth. Tra le tante cose interessanti di quel film c’è la colonna sonora, che è fatta di pezzi di Dylan interpretati da altri musicisti: Eddie Vedder, i Sonic Youth, Cat Power e soprattutto Stephen Malkmus, l’ex leader dei Pavement, che è uno dei più credibili nel reinterpretare i brani di Dylan.

Middle America, il nuovo singolo di Malkmus insieme alla band The Jicks, sembra seguire le coordinate del Dylan più rilassato e strascicato, quello del capolavoro Blonde on blonde. Ma insegue altri miti della musica americana: dai Creedence a Roger Mcguinn. Malkmus sembra ispirato, anche a livello lirico (”Just kiss yourself metaphorically, and open the door and piss if you need to”). Il pezzo finisce in modo delicato, quasi sottovoce, un po’ com’era cominciato. Dopo averlo ascoltato, viene da pensare: meno male, Malkmus è tornato.

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Mgmt, Little dark age
Quando pubblicarono il loro disco d’esordio, gli Mgmt sembravano una macchina da hit radiofoniche: i singoli Time to pretend e Kids (soprattutto il secondo) sono ancora oggi dei pezzi perfetti per le feste del fine settimana. Negli album successivi la band statunitense si è spostata bruscamente verso un genere molto meno orecchiabile (Mgmt, il disco del 2013, sembrava più una cosa alla Flaming Lips che un disco di pop elettronico).

Con il nuovo album, Little dark age, il gruppo statunitense ha riabbracciato la melodia, indossando panni che sembrano calzargli molto meglio. Certo, qualche stranezza negli arrangiamenti non manca però tutto suona più addomesticato e a fuoco.

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Rkomi, Milano bachata (feat. Marracash)
Visto che la settimana scorsa abbiamo parlato di trap, ho deciso di recuperare un album uscito alla fine del 2017 che sul momento era sfuggito ai miei radar: Io in terra di Rkomi. Rkomi è uno dei nomi più interessanti della trap italiana. È cresciuto tra Brescia e Calvairate, un quartiere di Milano est. Ma da bambino andava al mare in Liguria, dove ha conosciuto un altro rapper, Tedua.

Io in terra è un disco molto poco “gangsta” rispetto agli standard ai quali siamo abituati ultimamente: il rap di Rkomi è melodico, introspettivo, anche se non è privo di asprezze. Nel suo stile c’è tanto jazz (Apnea), l’hip hop vecchia scuola (Verme, dove c’è il romano Noyz Narcos) e ci sono i ritmi latinoamericani del brano Milano bachata (dove spunta anche Marracash).

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Laraaji, Hare jaya jaya rama I
La storia di Edward Larry Gordon, in arte Laraaji, è una piccola favola. Nato a Filadelfia, polistrumentista appassionato di cultura orientale, si trasferì a New York per studiare e fu scoperto per caso da Brian Eno mentre suonava nel parco di Washington Square. Insieme a Eno registrò Ambient 3. Day of radiance, dando inizio a una carriera che dura ancora oggi (l’anno scorso è stato uno degli ospiti del festival italiano Terraforma). È considerato uno dei pionieri della new age.

Di recente l’etichetta Numero Group ha ristampato Vision songs vol. 1, un disco che era circolato in poche copie nel 1984. Nel disco Laraaji esegue dei canti spirituali accompagnandosi con pochissimi strumenti, tra i quali la sua fidata cetra. Musica tanto semplice quanto contemplativa.

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P.S. La playlist è aggiornata. Buon ascolto!

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