04 novembre 2019 15:36

Gentile bibliopatologo,
qualche anno fa ho deciso di provare a scrivere libri. Da allora, ogni libro che leggo lo valuto dal punto di vista dello scrittore, cercando di trovare spunti e riferimenti, di studiarne stile e tecnica, e così non riesco più a godere della semplice lettura. Cosa mi consiglia?

– Metoclopramide

Cara Metoclopramide,
Orson Welles lo chiamava “the ghost of the slate boy”, il fantasma del macchinista con il ciak. Da quando si era messo a fare il regista – cioè da molto presto – non riusciva più a sospendere l’incredulità come spettatore. Si può dire che questo spiritello non gli diede pace per tutta la vita, se pensiamo che la sua ultima opera è F come falso, un trattato sull’illusionismo e la truffa dell’arte.

Westend61/Getty Images

Vedo che ti succede qualcosa di simile, e adesso che ti sei messa a scrivere non riesci più a godere della “semplice lettura”. Ebbene, non esiste nulla al mondo come la “semplice lettura”. Un giorno, non so quanto lontano, imparasti ad accettare che degli strani segni neri corrispondevano a dei suoni, i quali, allineati in un ordine preciso, potevano, se scanditi ad alta voce – solo in seguito sei diventata capace di far tutto nella camera d’echi della tua mente – comporre delle parole, che a loro volta evocavano delle cose che dovevi disporre nella tua immaginazione secondo certe regole per suscitare mondi nei quali, misteriosamente, hai cominciato a credere, cioè a smettere di non credere. Ti pare semplice? Quella che chiami semplicità, è solo il trasferimento di una complicatissima sequenza di operazioni dalla luce della coscienza alla penombra dell’automatismo.

Abbandona la melanconia del bambino baudelairiano della Morale del giocattolo che ha smontato il suo joujou e ne ha visto esalare l’anima, e comincia a ricordare che non tutti i piaceri dell’arte nascono dalla sospensione dell’incredulità. Bertolt Brecht dichiarò guerra a quella specifica forma storica di incantamento, e tentò di spezzare la soggezione magica dello spettatore verso l’illusione teatrale coltivando il famoso effetto di straniamento; ma, ironia suprema, finì per risvegliare altre forme di fascinazione, più arcaiche, che erano già state proprie del teatro medievale e asiatico, e prima ancora delle pantomime sciamaniche: “Non espone ancora più insidiosamente lo spettatore al sortilegio esercitato su tutti gli uomini dalle cose familiari quando diventano estranee?”, si domandava Maurice Blanchot in un saggio su Brecht.

Ho detto bambino baudelairiano, ma forse è meglio dire leopardiano. Ciò che ti serve, infatti, è un piccolo intervento laser per rimuovere quella che l’oftalmologia letteraria potrebbe battezzare miopia di Leopardi. Si tratta di una forma di miopia autoinflitta che porta per esempio a prediligere le parole sfocate, che “destano idee vaste, e indefinite e non determinabili e confuse”. L’idea è che, in fondo, meno se ne sa e meglio è: ogni incremento di lucidità si accompagna a una diminuzione delle care illusioni, a tutto vantaggio dell’infelicità universale. Per quel che riguarda la mia storia clinica, posso dirti che il mio oculista è stato, forse suo malgrado, Giuseppe Ungaretti. Studiando per gli esami di maturità, mi imbattei in questa sua pagina sull’Infinito di Leopardi:

…interminati spazi
…sovrumani silenzi
Io nel pensier mi fingo…

Mi fingo: è parola usata nel senso dotto: “mi foggio”, “mi formo”; e nel senso usuale: “io nel pensiero mi suscito interminati spazi, sovrumani silenzi, per inganno, per illusione”. Ci troviamo dinanzi a un vero e proprio esempio di durata. Quando erano giovani i tempi, quando si diceva “fingere” alla latina, le illusioni si “foggiavano”, avevano materia per essere “foggiate” e consistere, e si poteva credere vera la felicità; ma oggi fingere non significa più che inganno, arido inganno.

Non ci crederai (del resto hai disimparato a credere, no?), ma dopo questo intervento in day hospital ho scoperto un piacere diverso, più pieno e profondo, nel leggere come nello scrivere. Pensavo che il dispettoso Ungaretti mi avesse rotto il giocattolo; mi aveva solo portato a un nuovo livello del gioco.

Il bibliopatologo risponde è una rubrica di posta sulle perversioni culturali. Se volete sottoporre i vostri casi, scrivete a g.vitiello@internazionale.it.

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