21 dicembre 2018 16:48

Fresco di vittoria agli European film award, arriva nelle nostre sale Cold war di Paweł Pawlikowski. Viene descritto come una grande storia d’amore a cavallo dei due blocchi che durante la guerra fredda dividevano l’Europa. L’amore ovviamente c’è, ma c’è anche molto altro. All’inizio (la parte del film che ho preferito) la Polonia del 1949 è fredda e devastata. In un furgone tre personaggi girano per le campagne a raccogliere i pezzi delle tradizioni popolari, musica, danza.

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Il musicista Wiktor (Tomasz Kot, il protagonista del film), una produttrice teatrale (se si può dire così) e un funzionario del governo devono mettere in piedi uno spettacolo, una delle tante prime pietre su cui ricostruire il paese. Basterebbe già questo per fare un bellissimo film. Ma l’amore? Arriva insieme alla protagonista del film, Zula, interpretata dalla premiatissima Joanna Kulig. La passione tra lei e Wiktor non tarda a sbocciare.

L’amore tra Zula e Wiktor non potrà essere spezzato da niente, dalla lontananza, dai compromessi a cui bisogna piegarsi, dal tempo che passa. Vale la pena di darlo per scontato e godersi il resto, cogliere nei dettagli l’utopia di un mondo, la delusione e il dissenso, le illusioni del “mondo libero”. Pawlikowski non deve dimostrare niente. Padroneggia totalmente la sua arte e riesce a sfruttare ogni cosa, compresa una bellissima fotografia in bianco e nero, molto patinata, e un finale quasi romantico e quasi comico.

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Old man and the gun potrebbe essere l’addio alle scene di Robert Redford. Redford interpreta un ladro gentiluomo nel senso più stretto del termine. Per Redford quello di David Lowery forse sarebbe il film perfetto per chiudere la carriera da attore: una pellicola classica per un attore la cui classe è immensa, come il cinema stesso. Accanto a lui Sissy Spacek, Casey Affleck, Danny Glover e Tom Waits.

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Personalmente non sentivo la necessità del Ritorno di Mary Poppins e invece eccoci qui, con Emily Blunt nel ruolo che fu di Julie Andrews. E giù con i paragoni, pratica oziosa che non rende giustizia a nessuna delle due star. Quindi con un salto mortale dirò che preferisco Emily Blunt in My summer of love (guarda un po’, di Pawlikowski) e Julie Andrews nel Sipario strappato.

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Con Capri. Revolution, Mario Martone chiude quella che come scrive Anne Branbergen su Internazionale è “da considerare una trilogia sulle intuizioni rivoluzionarie non andate a buon fine”. Quindi è arrivato il momento di recuperare tutti e tre i film (oltre questo, Noi credevamo e Il giovane favoloso) e rivederseli. Intanto vale la pena di sentire le parole del regista sull’importanza dei dialoghi nell’Anatomia di una scena che ha realizzato per noi.

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