09 febbraio 2017 17:35

La minaccia del riscaldamento globale, la difesa dei luoghi ancora non contaminati dall’intervento umano, la sostenibilità ambientale, la dialettica tra natura e civiltà. Questi sono i temi che convergono nella mostra Artico. Ultima frontiera alla Casa dei Tre Oci di Venezia, che mette insieme il lavoro di tre fotoreporter, Paolo Solari Bozzi, Ragnar Axelsson e Carsten Egevang.

Come afferma Denis Curti, curatore e direttore artistico di Tre Oci, “la rappresentazione del paesaggio naturale raccoglie e veicola lo spirito dei tempi, mutando al variare delle epoche, riflettendone i cambiamenti, come se fosse lo spazio di una coscienza individuale e, allo stesso tempo, collettiva”.

Pur scegliendo tutti il bianco e nero, i fotografi esposti partono da esperienze e approcci diversi nelle terre artiche. Paolo Solari Bozzi (1957) ha viaggiato sulla costa orientale della Groenlandia tra il febbraio e l’aprile del 2016 per raccontare i villaggi sparsi nella zona e che ogni giorno si confrontano con un ambiente ostile alla presenza umana. Il viaggio l’ha aiutato a superare alcuni stereotipi su chi vive in queste zone: “Sono partito per la Groenlandia con l’idea che avrei incontrato gli inuit con le pelli d’orso e foca. Mi sono subito reso conto che così non sarebbe stato, perché oggi vestono all’occidentale e i giovani hanno tutti il cellulare”. Solari Bozzi prende contatto con il limbo in cui vivono oggi gli inuit, con un passato dalle tradizioni millenarie ma impreparati ad affrontare un futuro incerto, mentre il loro habitat è minacciato dallo sfruttamento del suolo e dallo scioglimento dei ghiacci.

Anche Ragnar Axelsson (1958) si concentra sulle popolazioni, in particolare sulle comunità che rischiano di scomparire: cacciatori, pescatori, agricoltori che lottano per la sopravvivenza dall’estremo nord del Canada alla Siberia. Da trent’anni il fotografo islandese esplora le zone più remote del nord per raccontarne i cambiamenti e come affliggono le vite dei suoi abitanti. Axelsson crede fermamente nel ruolo della fotografia per salvaguardare queste terre: “L’Artico è, e resterà, il più grave problema del nostro pianeta negli anni a venire e questo comporta un’enorme responsabilità per tante persone, fotografi inclusi. Una responsabilità che non sarà più possibile ignorare”.

Con una formazione da biologo, Carsten Egevang (1969) è arrivato in Groenlandia nel 2002 per studiare la fauna ovipara ed è rimasto lì per sei anni, documentando con la sua macchina fotografica la natura selvaggia e le popolazioni inuit. Nelle sue esplorazioni, il fotografo danese è rimasto affascinato soprattutto dal forte rapporto di dipendenza tra gli esseri umani e la natura, essenziale per sopravvivere. “In Groenlandia la vita scorre perennemente sul filo di ciò che è fisicamente possibile. Solo le specie che si sono adattate a questo clima estremo riescono a sopravvivere. Solo le persone in grado di decodificare i segni della natura e prevedere i cambiamenti del tempo riescono a trovare di che sfamarsi in questo deserto artico”.

Artico. Ultima frontiera rimarrà aperta fino al 2 aprile.

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