In un vertice che si è tenuto nell’ottobre del 2019 nell’India meridionale, il presidente cinese Xi Jinping e il primo ministro indiano Narendra Modi si sono impegnati a portare le relazioni tra i due paesi, che insieme contano più di un terzo della popolazione mondiale, a “livelli più alti”. Quest’anno, infatti, cade il 70° anniversario dell’inizio dei rapporti diplomatici tra Pechino e New Delhi. I funzionari hanno delineato settanta attività congiunte – dalle delegazioni commerciali e militari alla ricerca accademica su antichi legami tra le due civiltà – per rafforzare la cooperazione. Tuttavia, il 2020 ha visto crescere la rivalità tra Cina e India.

Dai primi di maggio gli eserciti dei due paesi si fronteggiano in diversi punti del remoto, accidentato e spesso conteso confine. Il 15 giugno la situazione si è aggravata in seguito a uno scontro tra soldati nella valle del Galwan. Nelle violenze sono morti almeno venti soldati indiani e un numero imprecisato di militari cinesi (Pechino non ha dato informazioni in merito). Secondo New Delhi, la Cina ha provocato lo scontro cercando di modificare lo status quo al confine, avanzando con le sue truppe o intralciando le pattuglie indiane in un territorio rivendicato da entrambi i paesi. I funzionari cinesi, invece, accusano l’India di aver provocato le violenze.

Poster di Xi Jinping bruciati in piazza a Siliguri, India, 17 giugno 2020 (Diptendu Dutta, Afp/Getty)

La disputa di confine va avanti da decenni. Sfociò in una guerra aperta nel 1962 e negli anni seguenti è stata una costante fonte di tensione. Ma le violenze di metà giugno rappresentano un grave deterioramento della situazione. Lo scontro ha provocato le prime vittime degli ultimi 45 anni lungo il confine e ha dimostrato che, nonostante gli sforzi di cooperazione, tra i due paesi la competizione è sempre più forte e può sfociare in un conflitto aperto. E questo scontro sanguinoso potrebbe avere implicazioni molto più vaste per la geopolitica in Asia.

Questioni in sospeso

Negli ultimi vent’anni Cina e India hanno rafforzato i rapporti diplomatici e i legami economici, organizzato vertici di alto profilo e sono entrate insieme a far parte di istituzioni regionali come la Banca asiatica d’investimento per le infrastrutture e di organizzazioni multilaterali come il gruppo dei Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica). Pechino è il secondo partner commerciale di New Delhi e gli investimenti cinesi in India sono passati dai livelli trascurabili di qualche anno fa agli attuali 26 miliardi di dollari già impegnati o previsti, compresi quelli investiti nel settore tecnologico. Negli ultimi anni sempre più indiani sono andati a studiare in Cina e sono in aumento anche i turisti cinesi in India. Questi segnali di una maggiore cooperazione però non nascondono la crescente rivalità. Nell’ultimo decennio la disputa di confine è esplosa a Depsang nel 2013 e a Chumar nel 2014, mentre nel 2017 i due eserciti si sono fronteggiati per 73 giorni a Doklam. Ogni volta l’India accusava la Cina di aver cercato di modificare unilateralmente lo status quo territoriale, facendo avanzare le sue truppe e installando una presenza permanente in posizioni che in teoria non avrebbe dovuto occupare. Altre questioni in sospeso continuano a tormentare i rapporti bilaterali, tra cui la presenza del Dalai Lama e dei profughi tibetani in India (cosa che irrita moltissimo Pechino), il controllo cinese sulle acque del fiume Brahmaputra (fonte di preoccupazione per l’India) e quello che agli occhi di New Delhi è un rapporto economico sbilanciato.

L’India si sente inoltre sempre più accerchiata. Non solo Pechino ha rafforzato i suoi legami con il Pakistan, rivale di vecchia data dell’India, ma ha ampliato la sua presenza in altri paesi dell’Asia meridionale, tra cui il Bangladesh, il Nepal e lo Sri Lanka, e nella più ampia regione dell’oceano Indiano. Dal canto suo Pechino non ha visto di buon occhio i rapporti sempre più stretti dell’India non solo con gli Stati Uniti, ma anche con l’Australia, il Giappone e alcuni paesi del sudest asiatico. I funzionari cinesi temono che l’India possa unirsi agli sforzi degli Stati Uniti per controbilanciare l’influenza della Cina.

Quanto alle istituzioni internazionali, i funzionari indiani ritengono che la Cina stia cercando di intralciare le ambizioni di New Delhi bloccando il suo accesso a organizzazioni come il Gruppo dei fornitori nucleari e il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. La Cina, invece, teme che un coordinamento tra India e Stati Uniti in istituzioni multilaterali come il Gruppo d’azione finanziaria internazionale, l’Onu e l’Organizzazione mondiale per la proprietà intellettuale possa minacciare i suoi interessi.

Un aumento delle frizioni lungo il confine conteso era in una certa misura prevedibile. Negli ultimi dieci anni l’India ha costruito nella zona infrastrutture, tra cui strade e ponti, per cercare di eguagliare progetti cinesi analoghi. Lo stallo attuale però è diverso dai tre precedenti scontri, sia per portata sia per intensità. Quelle violenze erano limitate a un’unica località, mentre le più recenti sono esplose quasi simultaneamente in diversi punti nella parte occidentale del confine e subito dopo in quella orientale. Stavolta si sono mobilitati più soldati e c’è stata un’aggressività maggiore da entrambe le parti.

Da sapere
Opinioni divergenti
fonte: bbc

◆ “È ora di riconoscere che la Cina è la nuova potenza imperialista in Asia”, titola un editoriale del Times of India. “Per troppo tempo l’India ha dato alla Cina il beneficio del dubbio, sorvolando sul suo comportamento aggressivo. A guidarla, la vecchia mentalità antimperialista, per cui i due paesi, accomunati da un passato da vittime, sarebbero destinati a essere partner nel secolo asiatico”. Il Global Times, vicino al Partito comunista cinese, mette invece in guardia New Delhi, che “in passato ha calcolato male le intenzioni di Pechino e, facendo confusione sulla disparità di forze delle due parti, è stata avventata e ha pagato un prezzo alto. Si spera che l’India non ripeta gli errori del passato. Dovrebbe seguire la Cina e riportare l’ordine al confine”.


Le violenze del 15 giugno potrebbero essere uno spartiacque e hanno evidenziato l’inutilità degli accordi e dei protocolli in vigore sui confini. È chiaro che funzionari cinesi e indiani non concordano sui tratti di confine assegnati e contesi. Oggi Pechino rivendica la sovranità sulla valle del Galwan, un’area che dal 1962 non era al centro di crisi. Questo stallo ricorda in modo preoccupante quanto accaduto nella seconda metà degli anni cinquanta, quando il primo ministro indiano Jawaharlal Nehru era convinto che la questione del confine fosse ormai risolta, salvo poi scoprire che i cinesi non accettavano lo status quo, innescando una serie di eventi che sfociarono nella guerra del 1962.

Al momento funzionari militari e civili dei due paesi sono impegnati in colloqui per smorzare la tensione, ma potrebbe non essere facile. L’opinione pubblica indiana, infuriata, potrebbe rendere più complicato per Modi accettare un cambiamento dello status quo lungo il confine. Tuttavia, per ripristinare la situazione precedente ai movimenti delle truppe cinesi di maggio, l’India dovrebbe convincere Pechino a richiamare i suoi soldati da diverse zone o dovrebbe allontanarli con la forza.

Lo scontro nella valle del Galwan potrebbe portare i politici indiani ad assumere un atteggiamento più duro verso la Cina. Stando al resoconto indiano di una telefonata del 17 giugno tra i ministri degli esteri dei due paesi, l’indiano Subrahmanyam Jaishankar avrebbe detto al collega Wang Yi che “questi sviluppi senza precedenti avranno un impatto molto serio sui rapporti bilaterali”. Secondo un funzionario indiano sarebbe “ridicolo” non aspettarsi ripercussioni economiche o di altro genere. Le voci sulle modifiche delle linee guida per gli approvvigionamenti nel settore indiano delle telecomunicazioni al fine di escludere le aziende cinesi potrebbero prefigurare quel che potrebbe accadere in futuro.

Una posizione più intransigente

Lo scontro indebolirà la posizione di quanti nel governo indiano sono favorevoli ad approfondire i rapporti con la Cina o ritengono che un rafforzamento dei legami economici contribuirebbe ad allentare le tensioni. Molti tra i sostenitori della linea morbida hanno assunto ora una posizione più dura. L’atteggiamento dell’opinione pubblica verso la Cina, già inaspritosi con la pandemia, si è irrigidito quando sono circolati sui mezzi d’informazione indiani i dettagli sulla brutalità con cui i soldati indiani sono stati uccisi nella valle del Galwan. Alle notizie sugli scontri sono seguiti subito appelli al boicottaggio dei prodotti cinesi.

Questa vicenda ha messo in chiaro che New Delhi deve fare delle scelte. Il governo potrebbe sentirsi obbligato a migliorare le capacità militari e le infrastrutture di confine, sottraendo risorse allo sviluppo. I suoi funzionari punteranno a rafforzare i rapporti con altre potenze regionali e globali per controbilanciare la determinazione cinese. È probabile che New Delhi e Washington si avvicinino ancora di più, ma l’India non vorrà puntare tutte le sue carte sugli Stati Uniti: l’inaffidabilità di Washington e l’incoerenza della sua politica verso la Cina la preoccupano. Non vorrà inoltre irritare la Russia, un cruciale fornitore di equipaggiamenti militari e uno dei pochi partner in grado di avere una qualche influenza su Pechino.

Resta la possibilità che India e Cina raggiungano un nuovo accordo provvisorio più solido. Un grave scontro sul confine nel 1986-87 portò nel 1988 a una storica visita in Cina del primo ministro Rajiv Gandhi e alla firma di nuovi accordi di confine. Un simile risultato positivo appare tuttavia improbabile per il momento. E anche se si dovesse materializzare un nuovo accordo, il rancore delle ultime settimane lascerà l’India diffidente sulla volontà cinese di rispettare future intese. New Delhi osserverà con cautela il suo confine montuoso settentrionale in cerca di un segno di aggressione da parte della Cina. ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1364 di Internazionale, a pagina 26. Compra questo numero | Abbonati