L’11 agosto 1596 morì a undici anni l’unico figlio di William Shakespeare, Hamnet. Non si sa quasi nulla della sua breve vita. È impossibile valutare quale impatto abbia avuto sulla sorella gemella e sui genitori. Il più grande poeta del mondo non ha immortalato il suo bambino perduto in versi. Abbiamo solo poche allusioni: i lamenti dei padri in lutto, la ricorrenza dei gemelli e, naturalmente, una tragedia chiamata Hamlet. Ma i tentativi di accostare quel capolavoro a Hamnet sono pretenziosi. A questo insondabile pozzo di dolore attinge la brillante scrittrice irlandese Maggie O’Farrell. Non intimidita dalla scarsità della documentazione storica, O’Farrell ricrea Shakespeare prima che lo splendore della venerazione oscurasse tutti intorno a lui. O’Farrell non si sforza di riempire le sue pagine di accenni al genio del drammaturgo o di allusioni alle sue opere. Invece, attraverso l’alchimia della sua visione, ha creato una storia commovente sul modo in cui la perdita ricalibra brutalmente un matrimonio. O’Farrell non si limita a ritardare l’inevitabile tragedia al centro della storia; si dedica ad allestire un contesto per aiutarci a sentire il pieno impatto che avrà sui genitori di Hamnet. La scena finale del romanzo offre una trasformazione miracolosa, il tipo di rivelazione che a volte l’amore può scatenare. Ron Charles, The Washington Post
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Questo articolo è uscito sul numero 1395 di Internazionale, a pagina 82. Compra questo numero | Abbonati