Dopo aver conquistato il botteghino nel 2017, le possibilità per Wonder Woman, alias Diana, sembravano infinite. Il personaggio interpretato da Gal Gadot aveva spazzato via i cliché del genere, dominando la scena, potente e affascinante. Il primo capitolo si svolgeva durante la grande guerra, perciò per il secondo era facile pensare a un’ambientazione di respiro più ampio. Il 1984 nel titolo del sequel faceva sperare in una trama da tarda guerra fredda o almeno in un’atmosfera orwelliana. Invece si è rivelato più che altro una scusa per rispolverare pettinature, abbigliamento e accessori degli anni ottanta. Patty Jenkins dirige il secondo capitolo ma senza la sicurezza che aveva dimostrato nel primo. Colpa anche di una sceneggiatura poco interessante, imbottita di battute goffe, cliché narrativi e discutibili posizioni politiche. Elementi “familiari” (che non guastano in questo genere di film) come un reperto archeologico magico, un cattivo che vuole dominare il mondo (Pedro Pascal, decisamente male utilizzato) e una secchiona scialba che si trasforma in una nemesi sexy (Kristen Wiig, che prova a farci divertire) sono assemblati quasi a casaccio. Chris Pine torna nei panni dello sfortunato innamorato di Diana e ci mette il cuore, ma non abbastanza da rendere convincenti le motivazioni della protagonista. Insomma sembra chiaro che Wonder Woman sia tornata in azione solo per motivi di cassetta. Quando nel 2017 la principessa amazzone ha salvato il mondo il suo orizzonte era sconfinato. Non potevamo immaginare che sarebbe finita a combattere in un centro commerciale. Manohla Dargis, The New York Times

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Questo articolo è uscito sul numero 1396 di Internazionale, a pagina 74. Compra questo numero | Abbonati