L’umorismo è un’arma di sopravvivenza. Un’arte marziale. Efficace, ma delicato da maneggiare. Il romanzo di Ingrid Seymann, che potrebbe competere per un campionato di storie comiche di autodifesa, si svolge tra il 1975 e il 1985 a Marsiglia, dai tre anni della narratrice al suo tredicesimo compleanno. Esther si presenta come una ragazzina di destra nata inavvertitamente in una famiglia di nudisti di sinistra. Sua madre, Babeth, capelli biondi lunghi fino alle natiche, gambe affusolate, viso morbido, è una deliziosa hippie che in spiaggia lascia che ai suoi due figli siano rubati secchielli e palette perché è contro la proprietà privata e non compra mai prodotti di marca al supermercato. Ma il foie gras sì, perché non ne hai bisogno e, appunto, nella vita è fondamentale divertirsi, spiega a Esther. Suo padre, Patrick, un ebreo algerino, è vicedirettore di un’agenzia bancaria, ma sua moglie lo prende per un poeta perché scarabocchia versi, si filma imitando Jacques Brel e canta a squarciagola ogni mattina la lista delle cose da fare. Altre figure grandiose di questo piccolo mondo sono la nonna ebrea rimpatriata dall’Algeria e il fratellino occhialuto e dislessico. Anche Esther non scherza, visto che per difendersi da questo allegro caos ha sviluppato una passione per le regole grammaticali e ortografiche, che padroneggia alla perfezione. Man mano che la storia si avvicina alla fine, l’umorismo diventa più mordente, e la risata si vena di tristezza. Astrid de Larminat, Le Figaro
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Questo articolo è uscito sul numero 1399 di Internazionale, a pagina 78. Compra questo numero | Abbonati