Il secondo cd di Daniele Pollini per la Deutsche Grammophon comincia con un Carnaval di Schumann diretto e ordinatissimo. La puntigliosa tecnica del pianista impressiona spesso, ma ogni tanto manca il contrasto dei caratteri che abbonda, per esempio, nell’esecuzione discografica di Nelson Freire. Il critico Harris Goldsmith descrisse la sonata op. 111 di Beethoven registrata da Maurizio Pollini come un esempio di “risoluta freddezza”. Potremmo usare le stesse parole per l’esecuzione di suo figlio dei pezzi op. 119 di Brahms: se in questa musica volete anche delicatezza e ricchezza del chiaroscuro, cercatela altrove. Con Schönberg è difficile resistere alla tentazione di mettere a confronto padre e figlio. Per fare un esempio, i pezzi op. 23 di Daniele hanno molti dettagli interessanti, ma non riescono a raggiungere le qualità davvero speciali della registrazione di Maurizio. Insomma, Daniele Pollini ci offre un album molto bello e interessante, ma non mantiene tutte le promesse dell’esordio. Jed Distler, ClassicsToday

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it

Questo articolo è uscito sul numero 1412 di Internazionale, a pagina 100. Compra questo numero | Abbonati