All’inizio, i bambini stanno bene. Gli adulti, però, stanno già scivolando verso Sodoma e Gomorra. È il punto di partenza del romanzo di Lydia Millet, una riflessione stimolante sul conflitto generazionale che si respira nell’aria. C’è da scommettere che diventerà un piccolo classico: Il signore delle mosche per una generazione di ragazzi lasciati a cavarsela da soli su un pianeta in rapido riscaldamento. Millet affronta la crisi esistenziale del cambiamento climatico con una comprensione tecnica della scienza e una comprensione umana del cuore. I figli del diluvio si muove come un tornado in un percorso imprevedibile che si abbatte sulla nostra compiacenza. Si apre come una commedia adolescenziale. Un gruppo di famiglie ha affittato una vecchia villa per l’estate. La narratrice è un’adolescente di nome Evie. Un giorno uno degli adulti regala al fratellino Jack una Bibbia illustrata. Jack studia Antico e Nuovo testamento con la cura di un antropologo e la curiosità di un biologo. Il suo nuovo hobby sembra innocuo, ma Dio e Lydia Millet operano in modi misteriosi. Quando un tremendo uragano risale la costa, la loro villa è distrutta dalla caduta degli alberi e poi circondata da acque inquinate. La tempesta è solo la prima di una serie di calamità che oscureranno il romanzo spostandolo verso orizzonti distopici. Millet trasforma la storia dell’arca di Noè in un racconto moderno del cambiamento climatico per produrre una visione sconvolgente del nostro futuro apocalittico. Il romanzo funziona così efficacemente perché è un’allegoria che resiste costantemente al messaggio prevedibile che di solito hanno le allegorie. Ron Charles, The Washington Post
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Questo articolo è uscito sul numero 1415 di Internazionale, a pagina 80. Compra questo numero | Abbonati