Il romanzo d’esordio di Hiroko Oyamada lancia un’accusa alla cultura del lavoro contemporanea. Ambientato nel Giappone moderno, ben noto per il superlavoro sottopagato, il romanzo evoca il peggio dei centri tecnologici della Silicon valley e pone la domanda: come possiamo trovare un significato se l’insignificanza domina le nostre giornate? Raccontando la storia da tre prospettive intrecciate, Oyamada presenta vari aspetti del lavoro. Nonostante ci si riferisca costantemente alla “fabbrica”, in realtà nulla sembra essere prodotto all’interno del colossale complesso autonomo in cui è ambientato il romanzo. Vanta una serie tentacolare di edifici completi di alloggi per il personale di livello superiore, una foresta e un ponte che attraversa un vasto specchio d’acqua. I lavoratori che ci vengono presentati sono coinvolti nella macchina aziendale della noia. Oyamada ha creato un ecosistema titanico della vita lavorativa moderna, compreso l’emergere di strane nuove specie, prodotte dagli schemi insensati e snervanti dell’esistenza dalle nove alle cinque. Il libro mette il lettore al lavoro, spingendolo fuori dalla passività verso un pensiero critico attivo. La metafora si espande all’interno di se stessa in una sorta di ciclo di feedback: in che modo gli umani costruiscono il significato? Come agisce o reagisce la natura alle nostre costruzioni? Cosa investe il lavoro di significato? Anche se vincolato dalla fatica realistica, il romanzo s’immerge nel surreale fino alla soddisfacente conclusione circolare. KrisKosaka, The Japan Times

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Questo articolo è uscito sul numero 1416 di Internazionale, a pagina 90. Compra questo numero | Abbonati