Due anni dopo l’uscita nelle sale, Quentin Tarantino ha tratto un romanzo dal suo ultimo film, definendolo un “ripensamento completo” della storia. Il libro offre un’esperienza diversa dal film: è più ruvido, più erotico, più sanguinario, più malinconico e, in qualche modo, più obliquo nel significato. C’era una volta a Hollywood espande l’universo del film anche mentre lo commenta. Forse la più grande sfida per Tarantino è che molti dei suoi potenziali lettori conoscono il finale. La suspense del film deriva dall’anticipazione di ciò che accadrà quando la storia arriverà al 9 agosto 1969, la notte in cui la Family di Charles Manson uccise cinque persone nella casa dell’attrice Sharon Tate. Fin dalle prime scene, il film sembra destinato a scontrarsi con questa tragedia reale, e tutto, non ultimo il suo straordinario colpo di scena, si basa su questo soffocante senso di aspettativa. Ma Tarantino, astutamente, trova il modo di modellare il romanzo in modo molto diverso. La trama di Manson diventa solo una piccola parte del vasto arazzo della Los Angeles di fine anni sessanta. Il centro emotivo del romanzo sono il cowboy televisivo Rick Dalton e il suo migliore amico e controfigura, Cliff Booth, minacciati dall’avvento della New Hollywood. Riusciranno a sopravvivere all’inevitabile cambiamento? C’era una volta a Hollywood più che a un film fa pensare a una serata passata in compagnia di Tarantino. Charles Arrowsmith, The Washington Post

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Questo articolo è uscito sul numero 1417 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati