Abbottabad, nell’ex provincia della frontiera nordovest del Pakistan, oggi è forse meglio conosciuta come la città-fortezza che ha ospitato Osama bin Laden. Quando il narratore del commovente e conflittuale romanzo di Ayad Akhtar va lì con suo padre nel 2008 per visitare i parenti, riceve una lezione dallo zio sul genio tattico dell’11 settembre e sulla sua idea di una comunità musulmana basata sui princìpi del profeta. Il protagonista, come Akhtar, è un drammaturgo nato negli Stati Uniti, la cui visione politica è stata formata da un’infanzia nella periferia di Milwaukee e da un’educazione umanistica. Anche se non è d’accordo con lo zio, trova più facile ascoltare senza dare un’opinione. Suo padre, un convinto patriota e futuro elettore di Trump, è infuriato: “Non hai idea di quanto sarebbe stata terribile la tua vita se fossi rimasto qui”, sbotta. Le complessità politiche di Abbottabad sono inseparabili dalle tensioni all’interno della famiglia, e questa visita così difficile è solo una di molte scene che esprimono le contraddizioni di una vita musulmana-americana. Elegie alla patria tratta ambiguità che sono rimaste al di fuori del discorso pubblico negli anni dopo l’11 settembre. I molti fallimenti della politica statunitense e l’inasprimento del populismo formano la matrice in cui crescono le storie di Akhtar. Hari Kunzru, The New York Times
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Questo articolo è uscito sul numero 1425 di Internazionale, a pagina 89. Compra questo numero | Abbonati