Per molti artisti l’autoconsapevolezza è un nemico, una barriera contro l’ispirazione. Ma la prolifica artista norvegese Jenny Hval, cantante, compositrice, poeta e scrittrice, la considera una compagna gradita. Le sue canzoni s’interrogano e si decostruiscono continuamente, sia dal punto di vista dei testi sia da quello della musica. Si destreggiano tra ricordi, fantasie, analisi sociopolitiche e riflessioni filosofiche con la stessa facilità con cui vagano dentro e fuori dalle strutture del pop, maneggiando bordoni minimalisti e suoni ambient. E canta con una voce squillante che non è affatto ingenua come sembra. C’è sempre una sovrastruttura intellettuale. Classic objects è il sesto album in studio di Hval e presenta la cantante nella sua forma più accessibile, con melodie allegre e suoni acustici ed elettronici. Registrato in solitudine durante la quarantena, il disco le ha fatto venir voglia “di scrivere storie semplici”. Come negli altri lavori di Hval, alla fine i brani non sono per niente semplici, ma giocano con il surrealismo. In alcuni pezzi, come Year of sky, la cantante si sforza di percepire sia il minuscolo regno degli insetti sia l’universo in espansione. Sono tutti alla sua portata.

Jon Pareles,
The New York Times

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Questo articolo è uscito sul numero 1452 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati