Il romanzo di Anne Berest si legge come una saga appassionata in forma di thriller tragico. Tutto comincia con la scoperta, il 6 gennaio 2003, di una cartolina anonima nella cassetta delle lettere di famiglia. Sul retro sono riportati i nomi di quattro antenati della protagonista, uccisi ad Auschwitz. Quasi vent’anni dopo, la nostra eroina decide di risolvere il mistero. Comincia interrogando la madre, che le racconta in dettaglio le tribolazioni della famiglia Rabinovitch. Tutto è rapido in La cartolina. I capitoli sono brevi, lo stile è semplice, crudo, quasi spoglio. Il potere evocativo di Anne Berest non è meno sorprendente. Il lettore quasi dimentica che la scrittrice sta raccontando la sua stessa storia. Molto rapidamente, la saga diventa autofiction. Infatti, per portare a termine la sua indagine e dissipare le ombre che circondano il destino della sopravvissuta, sua nonna Myriam, deve esplorare la sua stessa psiche – mettendo in discussione la sua identità, il suo complesso rapporto con l’ebraismo. Solo nelle ultime pagine la scrittrice-detective rivela l’autore della cartolina. A quel punto, il lettore avrà compiuto un viaggio letterario, storico e umano profondamente toccante.
Philippe Chevilley, Les Echos

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Questo articolo è uscito sul numero 1462 di Internazionale, a pagina 92. Compra questo numero | Abbonati