Il terzo album dei Black Midi è follemente eclettico. Ritmi tango influenzati da Kurt Weill, chitarre seducenti e cinematografiche, passaggi di spoken word farneticanti, pianoforti dissonanti oppure da piano bar, percussioni metal e una voce da crooner. Questa non è la descrizione dell’intero disco, ma solo dei primi cinque minuti. Cercando il termine migliore per definirlo, Hellfire è un’opera rock che non rispetta nessuno standard e procede come una serie di jump-cut musicali per 38 minuti. E, come spesso succede nelle opere rock, la trama non ha senso, è una fantasmagoria d’immagini terribili che riflettono il caos del nostro mondo. Ascoltando la musica di questo gruppo si cambia opinione più volte. Le idee ci sono e sono anche eseguite in maniera eccellente dal punto di vista tecnico, ma a volte non riescono a coinvolgere l’ascoltatore sul piano emotivo. Forse dal vivo guadagnerà qualcosa, ma per ora Hellfire suscita più ammirazione che amore.
Alexis Petridis, The Guardian

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Questo articolo è uscito sul numero 1470 di Internazionale, a pagina 98. Compra questo numero | Abbonati